giovedì 23 agosto 2007

Applausi tra le ombre

Il Brasile è un sogno speciale, soprattutto per chi può sognare. Per altri, è terra aspra. E poi gli anni settanta sono un'epoca difficile: si propaga la cosidetta abertura, ma il regime militare è ancora presente, oppressivo. Jim Porto è un giovane artista arrivato a Rio de Janeiro dal Rio Grande do Sul, ma che abbastanza presto decide di scavalcare l'Atlantico e atterrare in Italia. Dove colora le notti del Manuia, uno dei locali preferiti della movida romana, movimentando la scena musicale, iniettando lo spirito del proprio Paese: che, a quei tempi, in Europa è ancora una macchia sulla cartina geografica, o poco più. Sono anni di gavetta, a metà strada tra il concerto e il piano bar. E quegli anni servono prima a sopravvivere e poi a vivere meglio. L'esperienza fortifica il ragazzo e il ragazzo rimane in Italia. Jim Porto, anzi, esporta la sua musica, solca la penisola e, nell'ambiente degli appassionati, si costruisce un nome sicuro. Pubblicando anche vinili e, più tardi, cd: come l'ultimo, recentissimo, "Live at Blue Note": alla cui realizzazione partecipa anche un jazzista rampante come Fabrizio Bosso, trombettista torinese che ama spaziare e che coltiva una precedente (ma ancora attuale) intesa musicale con un altro artista arrivato dal Brasile, Irio de Paula. Jim Porto, per capirci, non è una voce (e un pianoforte) qualunque: basti parlare di qualche antica collaborazione. Ad esempio, con Gilberto Gil e Milton Nascimento: non è poco. Anzi, il suo pianismo fluido, la sua facilità di espressione musicale, le larghe concessioni alla platea e un'esuberanza tutta sudamericana sono garanzia di spettacolo e buon umore. La capacità di reggere lo spettacolo è, oltre tutto, limpidissima: adeguatamente rodata nelle ore notturne spese tra cocktail e cornetti, in una Roma che non voleva dormire. Eppure, il live presentato in compagnia dei Narandiba a Cisternino, ultima proposta della quattordicesima rassegna "Pietre Che Cantano", dedicata (quest'anno, così come il prossimo) a diverse sonorità che partono dal Brasile, non ci ha particolarmente convinti. E non per i fondamentali musicali (innegabili) dell'interprete gaúcho (con l'accento rigorosamente sulla u: da non confondere con un gaucho argentino). Ma, soprattutto, per il taglio eccessivamente nazional-popolare (o commerciale, fa lo stesso) conferito al concerto, per la scelta (scontatissima; anzi, aggiungeremmo banale) del repertorio (Jim Porto ha raccolto una decina di brani brasiliani tra i più popolari in Italia, arrangiandone qualcuno in maniera, peraltro, convincente; senza però offrire qualcosa di più o di diverso: in due parole, accontentandosi e accontentandoci), per la formula un po' abusata (l'immancabile viaggio all'interno del Brasile) e per l'errata valutazione di considerare un festival (o una rassegna, fate voi) alla stregua di un piano-bar. E, ancora, per qualche sbrigativa versione di alcune composizioni importanti, all'interno della storia della musica popolare brasiliana: detto per inciso, non ci è sembrato affatto che ricordasse i testi di "O Que Será" di Chico Buarque de Hollanda (strofe invertite, altre tranciate, verbi modificati: e l'improvvisazione, in questi casi, non c'entra) o di "Aquele Abraço" di Gilberto Gil (e crediamo che la supposta sicurezza di incontrare un pubblico inconsapevole o particolarmente tollerante non può ragionevolmente salvarlo, nell'occasione). Intendiamoci, però: la gente si è divertita ed ha anche applaudito, con la giusta convinzione di chi non possiede le argomentazioni per dissentire, o di chi non può (o non vuole) approfondire. E, allora, va bene così. E, in fondo, va bene anche a noi, ci mancherebbe. Del resto, la musica, come una qualsiasi manifestazione di intrattenimento, deve piacere. Ma non sottoscriviamo l'approccio di Jim Porto al concerto e neppure molti dettagli. Come, appunto, quello di esimersi dall'offrire uno spaccato più preciso e aderente alla realtà (ovvero, lontano dal già troppe volte ascoltato) di un Paese come il Brasile: da parte di un brasiliano, oltre tutto, ci è sembrato ingeneroso. Una realtà che, diciamolo forte e chiaro, va oltre le famosissime "Aguas de Março" (tuttavia ben suonata e arricchita da vocalizzazioni intriganti, così care ai jazzisti), "Você Abusou", O Bébado e a Equilibrista" (bella versione, va detto), "Eu e Você" di Jobim, "Flor de Lis" e "Sina" di Djavan, "Mas Que Nada" e "País Tropical" di Jorge Ben, che sono brani ormai utilizzati da chiunque. Che siamo abituati ad ascoltare ovunque. E che non avremmo sospettato di incontrare (non tutti assieme, almeno) in una rassegna: una rassegna che gli organizzatori stessi definiscono, anche con legittimo orgoglio, di nicchia. Senza parlare dell'incursione, nella parte finale del live, di "No Woman No Cry" di Bob Marley: canzone che, sicuramente, fa audience, ma che poco s'inserisce nel contesto: malgrado proprio Gilberto Gil, ultimamente, ne abbia partorito una versione brasiliana. Un altro evidente omaggio alla globalizzazione. O, più probabilmente, alla commercializzazione. Appunto.

Jim Porto (voce e pianoforte) & Narandiba (Jurandir Santana: chitarra; Marco Frattini: basso; Maurício Melo: batteria)
Cisternino (BR), Piazza Vittorio Emanuele
Pietre Che Cantano 2007 - Brazillusion

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)