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venerdì 9 novembre 2012

Tango. Con l'esclamativo

Tango. Ma non basta la semplice parola per cavarsela. O per capire. Sintesi stringata di un universo a parte, di un'intimità infinita, di una passione che si arrampica ovunque: non solo dov'è nato, cioè nell'Argentina degli italiani di inizio novecento. Riassunto sbrigativo di un mondo che trascina ancora i suoi miti, i suoi eroi, le proprie abitudini, le sue consuetudini. Cinque lettere che non si limitano alle sale da ballo, ai dischi più diffusi di Piazzolla e agli standard stropicciati e smaterializzati nei veglioni di fine anno. Musica fiera, il tango. E viscerale. Persino maledetta, se pensiamo a Borges. Vellutata e terragna, aggressiva e dolce: popolata dai ricordi, per parafrasare Gardel. E sempre più gradita, anche da noi. Pure nelle occasioni dal vivo: dove, paradossalmente, non si balla. Perchè esiste ancora distanza (e, sembra, reciproca diffidenza) tra i passi di danza e l'esibizione sonora: come se due mondi uguali si specchiassero, senza incrociarsi. Come se mancasse quel ponte che deve unire le anime gemelle. Note di postriboli, il tango. Che una certa letteratura ha tentato e prova ancora a trasformare in un appuntamento di classe, vagamente glamour. E anche materia abbondante: perchè affonda nella milonga e in altro ancora, ammarando infine nel nuevo tango. Che è una propaggine o la sua semplice evoluzione.
Tango. Con il punto esclamativo. Stiamo parlando di una nuova produzione discografica, griffata Fo(u)r, etichetta barese ormai ramificata in diverse collezioni private di casa nostra e saldamente affrancata al mondo del jazz, ma anche alle sue immaginarie affiliazioni. Dietro al microfono e ai mixer dello studio di registrazione di Tommy Cavalieri, due personalità affermate della scena musicale di Puglia: la vocalist Paola Arnesano, jazzista per definizione, ma tanguera nell'anima, e il fisarmonicista Vince Abbracciante, talento versatile che si sposta con naturalezza da una situazione all'altra. Dentro il cd, invece, dodici tracce. Non tutte, è bello puntualizzare, in pericolo di caduta nel burrone dei soliti classici (come "La Milonga de Buenos Aires" e "Volver", tanto per dire). Da "Garúa" a "Milonga Triste", da "Jacinto Chiclana" a "Alma de Bohemio", da "Cafetín de Buenos Aires" ad "Aquel Tapado de Armiño": il lavoro, ovviamente, non ignora nè Piazzolla e nè Gardel, affacciandosi comunque anche sulla produzione di autori come Troilo, Firpo, Piana, Mores, Delfino e Romero. Transitando pure per le tonalità di "El Dia Que Me Quieras", "Milonga de la Anunciación", "Milonga Sentimental" e "Pango", unico brano originale che Vince Abbracciante ha composto per omaggiare il tango, la fisarmonica e, soprattutto, suo padre. Che è poi una delle ragioni per cui il ragazzo si ritrova a suonare questo strumento.
«E' un album, questo, che guarda alla tradizione, ma dotato anche di una visione più ampia. Ed è un'avventura che abbiamo intrapreso seguendo un preciso percorso»: Paola Arnesano racconta come nasce e cresce l'idea. «Personalmente, amo il tango da tempo e, spesso, lo ballo. Vince, trainato anche dalla fisarmonica, si è già misurato con certe sonorità. Ci siamo incontrati e, casualmente, abbiamo concepito alcuni spettacoli dal vivo, che portiamo in giro da un anno, più o meno. E, altrettanto casualmente, in un secondo momento abbiamo pensato di realizzare il disco». Uscito ufficialmente il nove novembre e presentato, nello stesso giorno, in due distinte occasioni: prima nella cornice della sede barese della Feltrinelli e, in serata, presso l'accattivante Tenuta Pinto, masseria ristrutturata a metà strada tra Mola e Rutigliano che ospita la rassegna Winter Jazz Dialogues 012. Un modo come un altro, questo, per riaccostare la musica e gli interpreti pugliesi alla ristorazione (debitamente separata dal concerto) e, soprattutto, al filo conduttore di un progetto artistico. Ovvero, un metodo antico che, nel tempo, si è quasi trasformato in utopia.

Tango! (Fo(u)r, novembre 2012)
Paola Arnesano (voce) & Vince Abbracciante (fisarmonica)

giovedì 1 marzo 2012

Il nuovo tango di Puglia


Il tango, quello della tradizione, è sempre dentro. Ma, ormai, davanti si spalanca una strada diversa. Artisticamente più attraente. Che, intanto, sempre dal tango parte. Ma che, in realtà, risponde anche e soprattutto ad una necessità di rinnovamento, di rivisatazione, di composizione, di ramificazione: in altre situazioni stilistiche. Che, peraltro, arricchiscono, completano. Offrendo un orizzonte più ampio. Il nuovo percorso del Nuevo Tango Ensemble, già ufficialmente inaugurato con Tango Mediterraneo, è irrobustito da D'Impulso, il cd licenziato nell'estate del duemilaundici dall'etichetta tedesca Jazzhaus Records che Gianni Iorio (da Foggia, al bandoneón), Pierluigi Balducci (da Corato al basso) e Pasquale Stafano (da Stornarella, è il pianista) hanno presentato al pubblico dell'Associazione Amici della Musica "Orazio Fiume" di Monopoli. Assistiti, peraltro, da un guest di fama e pregio come il clarinettista Gabriele Mirabassi e dal batterista napoletano Pierluigi Villani.
D'Impulso è un progetto che, dicevamo, affiora dal tango: approdando al jazz e anche alla musica popolare, attraverso un disegno improvvisativo interessante e, innanzi tutto, in coda ad un impegno compositivo che lascia parecchio spazio al profilo melodico. Particolare che, in situazioni di questo tipo, non dimentica mai di catturare la platea. E', cioè, un bel disco che sfocia in un concerto puntellato di emozioni, di vibrazioni, di buon gusto, di eleganza naturale. Certo: chi, magari, attendeva i profumi immortali dei classici si è ritrovato un po' spiazzato: anche perchè la formazione nasce (nel millenovecentonovantanove) rielaborando e riarrangiando titoli più o meno unanimemente conosciuti. Spiazzato: ma non per questo deluso, immaginiamo. Perchè, così, ha finito per imbattersi in un repertorio solido, fresco, gravido di buone intuizioni e di ottime intenzioni. Proprio perchè il Nuevo Tango Ensemble punta, giustamente e segnatamente, sulla qualità dello spartito. Sdoganando, nella serata monopolitana, appena due brani non originali: "El Choclo" e la piazzollana "Oblívion", ovvero il bis che chiude il live consumatosi all'Auditorium di Canale 7.
«Il futuro del quartetto è la produzione originale. Questo è il cammino che i miei amici volevano intraprendere, da tempo: l'hanno fatto, già dal duemilaotto, con il lavoro precedente. E hanno fatto bene, ritengo. Perchè possiedono sensibilità, idee, talento»: Mirabassi, tra la consueta frequentazione dei palcoscenici della penisola e una full immersion in Sud America, benedice la scelta. «Alla quale sono felice di aver offerto il mio contributo. Solo esterno, nel caso di D'Impulso, perchè presto il mio modo di fare musica esclusivamente nelle esecuzioni dal vivo. In questo disco, infatti, non ci sono (nel precedente album, invece, sì. Mentre questa volta, in studio, l'ospite è altrettanto accattivante: Javier Girotto, ndr). Al di là di questo, i loro meriti sono cristallini: se non altro, perchè ad un certo punto hanno intuito che era il momento di saltare l'ostacolo, di fare da soli, di rischiare qualcosa in più. Di darsi delle coordinate diverse. Del resto, mi trovo spesso in Argentina, dove suono con alcuni artisti locali. E lì il nuovo tango è un'abitudine consolidata. Certo, per la gente d'oltre oceano è più semplice: vivono a stretto contatto con il tango, da sempre. E questo genere fa parte della loro cultura, del loro dna musicale. Ma è bene che, anche da noi, si cominci a ragionare in questo senso».

Nuevo Tango Ensemble (Gianni Iorio: bandoneón; Pasquale Stafano: pianoforte; Pierluigi Balducci: basso). Guest Gabriele Mirabassi (clarinetto) e Pierluigi Villani (batteria)
Monopoli (BA), Auditorium di Canale 7
Stagione Concertistica 2011/2012 dell'Associazione "Amici della Musica Orazio Fiume"

mercoledì 25 agosto 2010

Dal folklore al tango


Dalle tradizioni di un’Italia povera e pure un po’ sbandata al nuovo mondo, sanguigno e nostalgico, costruito su fatiche e speranze. Dalle terre amare consegnate ai ricordi al miraggio dell’Argentina, nuova realtà di una generazione accatastata sulle navi. E pronta a ripartire dalla terra ferma di un Sudamerica che si consolida e si evolve. Tango También... Dal Folklore al Tango è il racconto sonoro di un’epoca. Di un travaglio. E della storia di molti. Ed è un viaggio nella musica di due generazioni. Forse, anche di tre. Nella musica di due continenti, di due universi culturali. E, a pensarci bene, di uno stesso popolo. E’ il viaggio verso il tango. Che è (pure? Soprattutto?) il tango di Piazzolla, figlio d’emigrante e nipote perduto di una Puglia ancora arcaica. Un viaggio segnato da un ritorno emozionale, ma non geografico. Che solca le origini, raggruppandole. Un percorso dai profumi forti, dove molte malinconie si confondono. E premono. Tango También è il viaggio che il poliedrico Rocco Capri Chiumarulo, il Nuevo Tango Emsemble (ovvero il bandoneonista foggiano Gianni Iorio, il pianista Pasquale Stafano e il bassista Pierluigi Balducci), il polistrumentista altamurano Nico Berardi e il percussionista Pippo D’Ambrosio intraprendono tra gli ulivi di Cristo delle Zolle per l’Estate Monopolitana 2010, sotto la supervisione dell’associazione culturale Terrae. Che, idealmente, parte dalle parole dello scrittore e drammaturgo Manuel Puig: «I messicani discendono dagli aztechi, i peruviani dagli inca, gli argentini discendono dalle navi». E che sintetizza le tappe di una migrazione dai contorni drammatici, eppure capace di trascinare per l’oceano l’energia del folklore e delle genti del meridione d’Italia, ma anche «la poesia e lo struggimento per un tempo passato che non tornerà mai più». Diventando la causa (o il pretesto) di un fenomeno di meticciato assolutamente originale.
Rocco Capri Chiumarulo guida, istruisce, spiega. La sua voce si intreccia immediatamente con la zampogna di Nico Berardi. La modugnana Amara Terra Mia è l’inizio della storia. E del viaggio. E’ quello che resta alle spalle, è la motivazione che spinge a cercarsi un futuro altrove, lontano. Si unisce Pippo D’Ambrosio e cominciano a scorrere i fotogrammi immaginari, vergati dai versi di Peteco Carbajal, Alfonsina Storni e Jorge Luís Borges, dai tanghi di Gardel, dalle note bagnate di huayno, vals, candomble, chacarera, zamba, milonga. Il Nuevo Tango Ensemble sale sul palcoscenico più tardi, disegnando una sorta di staffetta: scenograficamente corretto. E’ la prospettiva che cambia. E’ l’Argentina che cresce. E’ il nuovo che avanza. Iorio, Stafano e Balducci indugiando sull’universo piazzolliano. Poi, prima che il concerto si concluda, si ritrovano tutti assieme. Perché l’Argentina è la somma di due popoli, di due culture. O il concentrato di una storia dolente. Nata, anche e soprattutto, nelle terre di Puglia. E, infine, raccontata da pugliesi. Un omaggio al tango. Un omaggio alla musica. Alle nostre coscienze. E alla nostra memoria storica.

Rocco Capri Chiumarulo (voce), Nico Berardi (zampogna, charango, flauto dolce e chitarra), Pippo “Ark” D’Ambrosio (percussioni) & Nuevo Tango Ensemble (Gianni Iorio: bandoneón; Pasquale Stafano: pianoforte; Pierluigi Balducci: basso acustico e basso elettrico) in “Tango También… Dal Folklore al Tango”
Cristo delle Zolle di Monopoli (BA), Anfiteatro
Estate Monopolitana 2010

sabato 27 gennaio 2007

Vigoroso tango

Difficile che Javier Girotto vanifichi l’occasione. Che sprechi l’opportunità di pubblicizzare (bene) il suo intimo eppure variegato mondo musicale. Che disperda l’abilità di presentare il suo prodotto: non sempre squisitamente jazzistico, ma saldamente collegato al jazz (l’abbiamo già scritto, rafforziamo il concetto). Che sciupi la chance di esportare il lato migliore (e, sicuramente, quello più romantico) della sua terra, l’Argentina. Difficile che il sassofonista cordobés inciampi nel progetto, che si scontri con critiche ruvide, che perda porzioni di un prestigio che - col tempo, piuttosto – va irrobustendosi: proposta dopo proposta, concerto dopo concerto. Difficile, cioè, restare delusi, dopo averlo ascoltato. Per la bontà complessiva dei suoi spartiti, ma anche per la cura dedicata al prodotto e – soprattutto – per la totale offerta di se stesso alla platea. Che lo rende professionista dai grandissimi sentimenti: particolare non trascurabile. Che la gente, infatti, non trascura affatto. Javier Girotto, oltre tutto, è un argentino molto più italiano di quanto possa sembrare: al di là delle più o meno antiche origini fasanesi. Perché, proprio in queste contrade, ha guadagnato considerazione, rispetto, cachet e residenza (romana, più precisamente alla Magliana). Ma che resta profondamente affascinato dal proprio Paese. Anche e innanzi tutto musicalmente. Segno distintivo, questo, che lo accompagna sul palcoscenico. Sul quale non perde l’ambizione di vantare le proprie origini: come è accaduto recentemente anche a Locorotondo, dove è tornato a incrociare gli strumenti con i vecchi compagni dei Córdoba Reunión, rispolverando tutto ciò che non è tango. I ritmi di quell’angolo di mondo, del resto, continuano a coinvolgerlo, a corteggiarlo, a circuirlo. Obbligandolo a perseverare, mutando però il progetto. E, allora, quel tango momentaneamente accantonato riaffora potente, a Capurso, in occasione del quarto compleanno del Multiculturita Festival, produzione di punta della locale Associazione “Porta del Lago”, che tornerà a luglio con nomi di ottima qualità e persino diverse sorprese. E, ventiquattr’ore dopo, a San Severo. Riaffiora il tango e riaffiora con un’altra situazione. Al fianco di Javier c’è Luciano Biondini, fisarmonicista spoletino di estrazione classica, ma di larghi orizzonti. La coppia, intendiamoci, non è propriamente una novità: i due lavorano assieme dagli albori del duemila, amalgamati da un disco praticamente autoprodotto («Cacerolazo») e, in un certo senso, persino sfortunato (perché bloccato in ristampa, per due volte, da disavventure finanziarie di due diverse case discografiche) e rilanciati (i protagonisti, dotati di ironia, ci passeranno il verbo) da «Terra Madre», un album più recente che raccoglie alcuni brani del precedente lavoro e composizioni successive. Il live, è chiaro, fluttua tra il tango (non c’è Piazzolla e neppure Gardel: il repertorio è assolutamente originale) e il jazz, impressionando (la scelta del verbo, questa volta, è assolutamente legittima) per l’elevato quoziente di tensione emotiva che riesce a sprigionare e, di rimando, a catturare. L’interpretazione è vigorosa, talvolta addirittura nervosa, dipinta da tinte forti, marcate. Di quelle che sanno decodificare i sentimenti e le peculiarità di una nazione come l’Argentina. Concerto di impatto profondo, per intenderci. Di sensazioni decise, di emozioni anche violente. Dove convivono nostalgie e complicità sonore assolutamente godibili. Traducendo, Girotto e Biondini si concedono apertamente, completamente. Ed è questo il dettaglio che ci preme sottolineare: non accade sempre, non accade troppo spesso, ve lo possiamo assicurare. Al di là delle qualità e della professionalità innegabili di tantissimi altri artisti che sono transitati e transiteranno in terra di Puglia. A margine, ma non troppo: le iniziative jazzistiche, da queste parti, nascono con soddisfacente frequenza (dovremmo tutelarle: tutti assieme) e, talvolta, resistono. Come a Capurso, dove il Multiculturita Festival si appresta ad affrontare l’anno della conferma, dei grandi impegni (parole testuali del presidente dell’Associazione “Porta del Lago”, Giacomo Santorsola). Le anticipazioni sul prossimo cartellone, tra l’altro, ci sono e le riportiamo: oltre al pugliese Pierluigi Balducci (presenterà «Rouge!», il suo ultimo cd.), si alterneranno sul palco allestito di fronte alla Real Basilica lo stesso Luciano Biondini (il 17 luglio), il quintetto di Enrico Rava (sempre il 17), Danilo Rea, Rosario Bonaccorsi, Roberto Gatto, Andrea Pozza e Gianluca Petrella (il 18 acompagneranno Gino Paoli in un progetto nuovo) e, addirittura, Brad Meldhau e Pat Metheny (l’appuntamento è per il 20 luglio: verranno promossi i due dischi recentemente approntati a Los Angeles). Michele Laricchia, art director della rassegna, con orgoglio e voce emozionata ne vantava la crescita costante in una città disabituata – almeno sino a qualche anno addietro – al jazz. La regolarità (della manifestazione), evidentemente aiuta, diventando un ingrediente rilevante di un’affermazione, di un piccolo successo. La continuità dell’impegno e l’evoluzione dell’idea, cioè, pagano. Ma non fatelo sapere, in giro. Non vi conviene: troppi non capirebbero.

Javier Girotto (fiati) & Luciano Biondini (fisarmonica)
Capurso (BA), Sala Botticelli dell’Hotel 90
Multiculturita Aniversary

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

lunedì 12 luglio 2004

Dischi - Historias del Sur (I Tàngheri)

Tangueros. Anzi, Tàngheri. Con l’accento sulla a. Per giocare sulle parole. E forse, anche su se stessi. Oppure, più semplicemente, jazzisti prestati al tango di Astor Piazzolla e di Carlos Gardel: cioè ai suoi interpetri meno convenzionali e più sofferti. Oppure, ancora, jazzofili prestati ad un progetto accarezzato da tempo: e già divulgato nelle piazze e nei club di Puglia, da più di un anno. Dal quale, infine, è scaturito un cd, appena sfornato dall’etichetta Panastudio: Historias del Sur.
I Tangheri sono Antonio Di Lorenzo, batterista di collaudata versatilità; Davide Penta, bassista puntuale e prolifico; l’ostunese Vince Abbracciante, fisarmonicista emergente, e Rocco Capri Chiumarulo, la voce teatrale che offre conforto alle note. Il lavoro di esordio, invece, è un contenitore di dodici brani: alcuni universalmente conosciuti da una larga fetta di pubblico, altri di produzione propria. Un contenitore che passa da "Vuelvo al Sur" («Torno al sud/Come si torna sempre all’amore/Arrivo al sud/Come un destino del cuore/Sono del sud/Immensa luna/Cielo al rovescio/Cerco il sud/Con il suo domani, il suo dopo/Voglio il sud/La sua buona gente/La sua dignità») a "Caminito", da "Sus Ojos se Cerraron" a "Jeanne y Paul", attorno alle quali sfilano "Rouge" (scritta da Davide Penta), "T-Rex" (di Vince Abbracciante) e "Todo Tiene un Final" (di Antonio Di Lorenzo).
Historias del Sur, in realtà, è un omaggio divertito, un tributo goliardico ad un genere che non ha ancora esaurito la sua epoca. Ma è anche un disco sentito e, contemporaneamente, partorito con leggerezza. Senza la pretesa dei protagonisti di prendersi troppo sul serio. Ed è anche un’alternativa alle sonorità del jazz, alle quali il gruppo continua a rimanere saldamente ancorato. E verso le quali il disco, evidentemente, si affaccia, più che velatamente: traendone sostentamento ed ispirazione. Issandosi, perché no, su quella sinergia di stili che, oggi, fanno tendenza. E che i cultori della nuova lingua musicale chiamano contaminazione. Anche e soprattutto quando si apre la pagina di "Last Tango in Paris", di Gato Barbieri. Giusto per ricordarci che le note non hanno confini: né temporali, né geografici, né stilistici.

Historias del Sur (Panastudio, 2004)
Antonio Di Lorenzo (batteria), Davide Penta (basso e contrabbasso), Vince Abbracciante (fisarmonica), Rocco Capri Chiumarulo (voce)

(pubblicato dal mensile "Pigreco")