mercoledì 31 luglio 2013

Note tra i fotogrammi

Note tra i fotogrammi. Perchè, questa volta, si parte da un film. Just Friends, per essere precisi. Pellicola del millenovecentonovantatre, girato e prodotto in Belgio e ambientato ad Anversa, sulla scena jazzistica di fine anni cinquanta. Doppiato in italiano ed arivato anche a queste latitudini, persino gratificato da un festival di prestigio, ma scomparso dal mercato cinematografico e dimenticato presto. Adesso praticamente introvabile, eppure gelosamente custodito da Mike Zonno, contrabbassista e, diremmo anche, nuovo mecenate della musica fatta in Puglia, nonchè ideatore di Jazz al Cinema, contenitore estivo - al secondo anno di programmazione - ospitato all'arena del Multisala Vignola di Polignano. Ecco, appunto, Jazz al Cinema: cioè, un progetto interessante, discretamente originale, anche stimolante. E, supponiamo, pure di prospettiva. In quanto, attorno alle pellicole più o meno celebrate, decorate o sconosciute, italiane o di importazione, si potrebbe persino cominciare a rifletterci concretamente sopra, provando a costruire attorno qualche progetto ben strutturato che possa aprire nuovi spazi per i musicisti di casa nostra, sempre più spesso preoccupati di esplorare strade nuove e di attirare l'attenziuone del pubblico. Magari, è un'idea come un'altra, destrutturando e riarrangiando (e non solo replicando o contestualizzando) vecchie e nuove colonne sonore, antiche e recenti musiche da film.
Il primo passo, intanto, è fatto. Anzi, il secondo. Perchè, già lo scorso anno, la rassegna ottenne ottimo riscontro, overo una platea affollata. Malgrado il biglietto da pagare. E anche l'edizione duemilatredici, dislocata in tre diversi mercoledì di luglio, non ha affatto deluso, da questo punto di vista. «Un particolare - confessa Michele Zonno - che mi rende orgoglioso. E' difficile realizzare manifestazioni come queste, presentate nello stesso periodo in cui, anche a pochissimi chilometri da Polignano, il jazz è somministrato gratuitamente». Dunque, tre appuntamenti: il primo affidato alle tonalità psichedeliche e vintage dei Bumps (Antonio Di Lorenzo alla batteria e alle percussioni, Davide Penta ai bassi e Vince Abbracciante alle tastiere e alla fisarmonica), raggiunti sul palco dal sassofono di Fabrizio Scarafile (in scaletta, la rielaborazione della colonna sonora del bertolucciano Ultimo Tango a Parigi, firmata Gato Barbieri). Il secondo al gruppo guidato dal trombettista Mino Lacirignola e dallo stesso Zonno (Villy Calabrese al piano, Max Monno alla chitarra, Beppe Brizzi alla batteria, più la voce di Luciana Scotti), misuratisi attorno alla figura di Louis Armstrong. E il terzo ad un quintetto assolutamente inedito: Felice Mezzina al sassofono, Nico Marziliano al piano, Vito Di Modugno al basso (talvolta, l'hammondista barese torna allo strumento di un tempo), Mimmo Campanale alla batteria e Serena Brancale, voce giovane ormai sbarcata nell'universo del cantautorato (è il suo momento, che immaginiamo sfrutterà bene: le credenziali ci sono tutte).
Quintetto inedito, certo, ma ben calibrato. Appoggiatosi sull'esperienza della ritmica, sugli assoli di Mezzina, sugli arrangiamenti di Marziliano e sulla freschezza e la facilità di interpretazione di una vocalist che arriva dal blues e dal soul. Just Friends, ovviamente, è un progetto che si nutre degli spartiti inseriti nell'omonimo film diretto da Marc-Henri Wajnberg: due composizioni originali del belga Michel Herr ("Bass Boom" e "Song for Lucy", una ballad trascritta da Nico Marziliano) e diversi standard (tra cui "Perdido" di Juan Tizol, "You Go to My Head" di Fred Coots, "Bésame Mucho" di Consuelo Velásquez e "Just Friends" di John Klenner, una delle storiche incisioni del sassofonista nordamericano Archie Shepp, a cui è sottodedicato, in definitiva, il live). Anche i classici (e i superclassici), però, sono trattati con personalità e sobrietà creativa, senza banalità sonore. Diventando versioni delicate, ma intense. Ed estrapolate da una pellicola divertente in cui Shepp, artista di punta dell'avanguardia jazzistica, ha voluto rendere omaggio ai padri della tradizione musicale statunitense. Giusto per ricordare da dove il jazz arriva. E prima di sapere dove ci porterà.

Felice Mezzina (sassofono), Nico Marziliano (piano), Vito Di Modugno (basso), Mimmo Campanale (batteria) & Serena Brancale (voce) in "Just Friend"
Polignano a Mare (BA), Arena del Multisala Vignola
Jazz al Cinema 2013

(foto Rosaria Zonno)

lunedì 22 luglio 2013

Ozionà, il vecchio cantautorato che resiste

Probabilmente, in qualche angolo della nostra quotidianità edulcorata, globalizzata e anche un po' impalpabile, la canzone d'autore - quella di una volta, impegnata e gravida di concetti, magari datati e ampiamente metabolizzati, ma non per questo inutili o dannosi - resiste ancora. Eppure, la scarsa densità di contenuti incasellati tra gli spartiti ci aveva ultimamente preoccupati: siamo sinceri. E all'invasione incondizinata del pop dichiaratamente superficiale (non solo nel panorama cantautorale, ma praticamente ovunque, jazz compreso), ci stavamo ormai tristemente e lentamente abituando. Invece, qua e là, l'energia delle parole continua ottusamente e orgogliosamente a sgomitare: forse, per semplice istinto di sopravvivenza. O per una mera questione di ribellione: all'omologazione, innanzi tutto. O, forse, perchè non siamo tutti uguali e non sviluppiamo tutti gli stessi pensieri. Fortunatamente. Ecco, sì: quella canzone socialmente utile di un tempo - diciamo pure quella che abbiamo ereditato dai Lolli, dai De Andrè, dai Guccini, dai Fossati - e che abbiamo perso, anche per difetto di talento di chi è arrivato dopo, per la strada dell'uniformazione non è ancora del tutto evaporata. E combatte stoicamente. E' un dato oggettivo, di cui tenere conto. Ed è bastato dedicare settancinque minuti ad uno degli appuntamenti organizzati (in quest'estate sin qui mediamente povera e musicalmente un po' grigia) dall'amministrazione comunale di Polignano, per continuare a sperare.
Sul palco allestito in piazza San Benedetto, un vecchio ragazzo dal passato colorato di rock e illusioni: Fernando Grande, universalmente conosciuto anche con lo pseudonimo di Ozionà, chitarrista ormai stagionato e polemista rinvigorito dallo scorrere delle stagioni e delle avventure, più o meno all'inizio del nuovo millennio si è inventato un secondo percorso musicale. Cioè, un cammino più maturo e più intrigante, contenitore di differenti esperienze personali ed espressione di motivazioni evidentemente ancora cristalline. Che ci è piaciuto non poco, non lo nascondiamo: lasciandoci, anzi, positivamente sorpresi. Anche per quella freschezza del progetto che ha saputo miscelare melodia (gli arrangiamenti nascondono una certa impronta rockeggiante, ma ammiccano saggiamente alla musica popolare e alla world music, passando per la magia del teatro-canzone) e testi (pensati e poi scritti con consumato mestiere). Percorso, sia detto chiaramente, al quale l'autore monopolitano non è arrivato per caso: ma lavorando nell'ombra per anni interi. Sino a regalarsi tre album: Sia Quel Che Sia (2000), Magie di un Vento (2002, presentato anche sul palcoscenico di Zelig da Annamaria Barbera) e il più recente Tela di Ragno (dieci tracce edite nel 2007). Disco, quest'ultimo, niente affatto innovativo (nessuno può inventarsi più nulla, ci mancherebbe), ma di spessore eccellente. Dove convivono i temi più cari alla canzone d'autore più verace: la libertà, la dignità, la giustizia, la coscienza, l'uomo, la morte. La vita reale, quella di tutti i giorni. Di tutti noi.
Ozionà, che alla canzone d'autore arriva gradualmente (a proposito: il festival Voci dal Ponte che, da diversi anni, organizza non senza qualche difficoltà finisce per incidere profondamente sulle sue scelte artistiche: non ce l'ha confidato, ma di questo siamo sicuri), riesce a confezionare uno spettacolo accattivante, che scorre sereno, malgrado la natura - diciamo pure ostica - dei contenuti. L'apporto calibrato dell'elemento squisitamente musicale, dunque, diventa assolutamente imprescindibile: la chitarra e la batteria dello stesso Fernando Grande, il basso di Tonio Napolitano, il sassofono di Giovanni Longo e la fisarmonica di Francesco Giancola stemperano con puntualità l'impatto dei testi e annientano sul nascere tutte le possibili frizioni che possono allearsi nel corso di un ascolto impegnativo e, perciò, anche pericoloso (la gente diffida sempre più dell'impegno e del politicamente corretto). Oso – Un Viaggio nella Coscienza dell’Uomo è un lavoro, se vogliamo, multimediale (cioè preceduto da un cortometraggio proiettato prima del live e che, tra l'altro, ci ricorda un'amara verità: la giustizia è come una tela di ragno, che intrappola gli insetti più piccoli, facendo passare i più grandi) e, di contro, non è un progetto che proprio chiunque può masticare troppo allegramente, ma possiede la grazia di non spaventare, di non intimorire. E il risultato, riteniamo, è tutt'altro che indifferente. Anche se, alla fine, in platea viene a mancare il pubblico delle occasioni più popolari, quello più affezionato al passeggio di Polignano o alle esibizioni di una cover band qualsiasi. Ma, in fondo, non è un problema grosso: pochi (non pochissimi, intendiamoci), ma buoni. Cioè attenti. E sufficientemente silenziosi. Davanti alla gradinata di piazza San Benedetto non accadeva da secoli.

Ozionà (voce, chitarra, batteria etnica e percussioni), Tonio Napolitano (basso), Giovanni Longo (sassofono) & Francesco Giancola (fisarmonica) in "Oso - Un Viaggio nella Coscienza dell'Uomo"
Polignano a Mare (BA), Piazza San Benedetto
Inside the Blue 2013

(foto Michele Pezzolla)