lunedì 3 ottobre 2005

Note intime

La musica di Gianluca Petrella sembra diventare più erudita. E il concerto presentato dal giovane trombonista barese e dal contrabbassista Furio Di Castri all’interno della chiesa rupestre di San Pietro Barisano a Matera (ad ottobre, per la rassegna «Gezziamoci» dell’Onyx Jazz Club) ha saputo riservare note pensate, intuiti intrisi di sperimentazione e momenti di buon jazz, sapientemente miscelati con la natura non propriamente jazzistica (non sempre, almeno) degli standard eseguiti (da “Light My Fire” dei Doors a “Brazil”, giusto per fare due esempi). Musica meno sparata, insomma. E propedeutica al concerto stesso, assolutamente acustico e tenutosi in un luogo particolare, peraltro di ridotte dimensioni, quasi intimo. Location, questa, che ha addirittura suggerito a Petrella e Di Castri di cambiare – quasi in corsa – abitudini: e sì, perchè l’elettronica (che i due musicisti hanno cominciato ad utilizzare stabilmente) è apparsa a quel punto superflua. Spazio, dunque, a note spesso sussurrate e al talento di ciascuno, senza accoppiamento tecnologico. Il tutto per una scaletta che ha regalato anche una puntata nel mondo di Ornette Coleman (“Congeniality”) e in quello di Monk (“Let’s Cool One”) e di Ellington (“The Blues”).Per la cronaca, il duo Petrella-Di Castri ha inaugurato il ciclo invernale di “Gezziamoci 2005”, che a novembre proporrà altre due situazioni (ci sono il trio di John Scofield e la The Bass Gang), mentre a dicembre porterà sul palcoscenico dell’Auditorium comunale di Piazza Sedile, sempre a Matera, il quintetto di Paolo Fresu, offrendo anche iniziative diverse (quali il live degli allievi e dei docenti del progetto «PerCorsi Sonori e la voce recitante di John De Leo in Belcanto, Pierino e il Lupo: favole per voci, strumenti musicali, anime fanciulle e gli Ottoni di Basilicata).

Gianluca Petrella (trombone) e Furio Di Castri (contrabbasso)

Matera, Chiesa di San Pietro Barisano

Gezziamoci 2005

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

venerdì 12 agosto 2005

Dischi - Of Course! (Mimmo Campanale)

Mimmo Campanale, naturalmente. Anzi, Mimmo Campanale, of course. Il batterista tranese è, praticamente da sempre, uno dei musicisti pugliesi più dinamici. Cioè, più utilizzati: da quelle formazioni che movimentano gli inverni e le estati di questo angolo di mondo dove la musica – e il jazz, nello specifico – riesce (sempre e comunque, nonostante le critiche dei più scettici e la recessione economica di tipico stampo italico) a ritagliarsi un proprio spazio vitale in cui germogliano e coincidono tecnica, passione, divertimento, studio, sperimentazione, contaminazione e altro ancora.
E sì: Campanale, da queste parti, si è misurato spesso, continuamente: con la grinta che non travalica mai la giusta misura. E affiancando diversi compagni di viaggio: da Mario Rosini a Guido Di Leone, passando per Mirko Signorile e per l’erudito cammino di Davide Santorsola. Senza smettere di coltivare l’idea di fabbricarsi un proprio spazio. E una propria produzione. Come quella in circolazione da meno di due mesi. «Mimmo Campanale, of course!» è un cd realizzato ad otto mani in cui il band leader si circonda della puntualità e della perizia di Maurizio Quintavalle (uno dei contrabbassisti storici di Puglia), Nico Stufano (chitarrista storico della Bari jazzistica che non rinuncia a sonorità più moderne, cioè più elettriche) e Nicola Andrioli (di lui, brindisino, ventitreenne, Pigreco ha già parlato bene: adesso vive per sei mesi all’anno a Parigi, dove sta affinando il suo indiscutibile talento).
E proprio di Nico Andrioli è "Si Kar Bi Si Barak Bi", brano vivace e fresco (dove emerge il contrabbasso di Quintavalle) che apre l’album, composto da altre sei fasce ("Andrea Be Quiet" è dello stesso Quintavalle; la più intima "Dear Karol" e la più mediterranea "Maki Papi!" portano la firma di Campanale; "Call 65 – 65" è una composizione di Nico Stufano; "Giants Steps" e "People" sono due cover, rispettivamente disegnate da John Coltrane e J. Styne). Il disco si rivela sùbito equilibrato nelle sonorità, rifinito, sobrio e, nel contempo, frizzante. E, soprattutto, assolutamente aperto alla libera interpetrazione di ciascun protagonista: interessante l’assolo di Campanale in "Giant Steps", quello di Stufano in "Call 65 – 65" e l’impronta di Andrioli in "Dear Karol". Il prodotto finale, detto per inciso, soddisfa ampiamente: perchè si fa ascoltare volentieri. Che è poi l’unica vera motivazione che dovrebbe animare il musicista in sala di incisione.

Of Course! (autoprodotto, 2005)
Mimmo Campanale Quartet (Mimmo Campanale: batteria; Nico Andrioli: pianoforte; Nico Stufano: chitarre; Maurizio Quintavalle: contrabbasso)

(pubblicato dal mensile "Pigreco")

venerdì 20 maggio 2005

Graffiando il silenzio

Atmosfere brasiliane – diciamo anche erudite, ma pur sempre brasiliane – e italiche note d’autore. La rivisitazione della bossa nova, tanto gusto classico che ricorda anche e soprattutto Villa Lobos e il jazz europeo. L’incrocio si ripete: anzi, la commistione carbura. E la proposta si allarga, generando nuove tournée. La sana abitudine, cioè, si consolida, diventando motivo di soddisfazione, soprattutto a certe latitudini, dove è ancora possibile ascoltare musica brasiliana di qualità: ringraziando il concetto di contaminazione. Che, talvolta, induce a dubitare. O diffidare. Ma, che – sempre più spesso – offre date e situazioni altrimenti fruibili a fatica. Guinga e Gabriele Mirabassi: insieme ancora una volta, sempre più spesso. Soprattutto per pubblicizzare «Graffiando il Silenzio», il loro ultimo lavoro. Ultimamente (e prossimamente), attraverso molta Europa (Olanda, Austria, Inghilterra) e Stati Uniti. E, ovviamente, ospiti graditi anche in Italia: da Bologna a Roma, da Asti a Trieste. E applauditi anche a Lecce, nell’ultimo live della sezione invernale della rassegna Jazle 2005, curata dall’associazione culturale Dodicilune. Una rassegna che, ciclicamente, propone un po’ di Brasile all’interno di un cartellone di forte matrice jazzistica (quest’anno, per la cronaca, sul palco del Teatro Paisiello si sono alternati Bob Mintzer, il trio di Andrea Pozza, lo Steve Turre Quartet, Kenny Wheeler e John Taylor ).
Guinga e Gabriele Mirabassi: una voce (fugace e vellutata, apparsa in un solo pezzo), una chitarra (puntuale, ricercata, talvolta accademica) e un clarinetto (quello dell’artista perugino, virtuoso e ispirato). Misturando tutto, ne esce un repertorio incisivo, raffinato, elegante. Di matrice colta, ma popolare quanto basta: dove emerge la cura del particolare, del dettaglio. E una robusta dose di ironia: all’interno di uno spettacolo niente affatto legato o ingessato. Né stantio: ma vivo, intenso. E denso. Dove fioriscono un interplay assoluto e una complicità collaudata. E un’amicizia consolidata. «Ogni sera Guinga rinnova un’emozione fortissima. E’ un bel personaggio», fa sapere Mirabassi alla gente. Che ascolta in silenzio. Un altro sucesso, di questi tempi sgarbati.

Guinga (voce e chitarra) & Gabriele Mirabassi (clarinetto)
Lecce, Teatro Paisiello
Jazle 2005

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

sabato 19 marzo 2005

Dischi - My Love and I (Giuseppe Bassi)

«Le undici tracce di questo cd hanno un comune filo conduttore: il sentimento. E l’amore per la musica. Perchè la musica è il mio amore. E perchè la musica è il mio modo di amare. Sì, quello che unisce e cementa l’intero lavoro è soprattutto la passione». Parole chiare, semplici. Dettate da un personaggio genuino, schietto. E, crediamo, anche assai idealista. Che ha deciso di registrare in studio e di divulgare una parte delle proprie sensazioni e della propria recente produzione, affidandosi al marchio Philology e alle capacità distributive della IRD. E assemblando un prodotto interessantissimo, dove emergono le virtù di ogni singolo artista coinvolto nel progetto e la selezione (curata) degli standard inseriti.
Il personaggio è Giuseppe Bassi, contrabbassista che attraversa uno dei momenti più prolifici del proprio percorso artistico. E che, ultimamente, si distribuisce con altissima frequenza nelle location jazzistiche più attive della Puglia: accompagnando diverse situazioni e diventando parte integrante di progetti diversi, ovvero partoriti da soggetti differenti. Il disco, invece, è My Love and I, presentato a marzo al Uéffilo di Gioia del Colle e al Taylor’s di Bitritto: laddove, cioè, si stanno rincorrendo molte di quelle note che non devono passare inosservate: senza distinzioni di provenienza. Dove, anzi, si è installata l’abitudine (buona) di guardare molto in casa propria. Prima ancora che altrove.
Bassi, del resto, maturava da un po’ l’idea di regalarsi quello che oggi costituisce, di fatto, il terzo album confezionato a suo nome. Idea concretizzatasi in un cd in cui il ragazzo di Bari, trentaquattrenne magistrato mancato, non è solo esecutore di note, ma anche autore di spartiti. Come nel caso di "Big Eyes", o di "Sweet King Kong!", oppure di "Jazz in Love", o – ancora – di "Your Double Smile" (dedicata ad una ragazza etiope, adottata a distanza) e di "God Bless The Dog". Brani che si affiancano, per esempio, a "Love for Sale" di Cole Porter, "Never Let Me Go" (di Livingston ed Evans) e "Sugar" di Stanley Turrentine. All’esecuzione dei quali compartecipano Fabrizio Scarafile, sassofonista cistranese ormai maturo per gli appuntamenti di prestigio, il pianista brindisino Nicola Andrioli (seguitelo con attenzione, possiede talento e un’età giovanissima) e il più navigato batterista tranese Mimmo Campanale.
«Tutta gente pugliese, mi piace sottolinearlo. Come pugliesi sono il chitarrista Guido Di Leone, la vocalist Paola Arnesano e un altro pianista, il tarantino Ettore Carucci, che hanno voluto omaggiarmi del loro apporto in Portrait, Love for Sale e Blues in the Closet. L’unico straniero – continua Bassi - è il genovese Dado Moroni, che si esibisce al contrabbasso proprio in Blues in the Closet, offrendo una performance straordinaria che, lo dico senza problemi, finisce per oscurare la mia. Ma questo non è affatto un problema. Tutti pugliesi, dicevo: dai musicisti ai produttori, dal grafico al fotografo. Che, per l’occasione, è un tarantino, Marcello Nitti. Il quale mi ha consigliato di scattare le immagini che illustrano il cd sul lungomare di Taranto, che è uno dei luoghi più affascinanti di Puglia. Si tratta di foto realizzate in bianco e nero, controluce: della scelta sono contentissimo».
Dentro My Love and I , però, c’è anche posto per Pietro. «Giusto. Pietro è il mio cane e a lui è dedicata "God Bless the Dog". Anzi: la voce, in quel pezzo, è la sua. Non solo: ha seguito da vicino tutte le prove, rifugiandosi sotto il pianoforte. E’ il mio modo di ricambiare tutto l’amore che mi ha tributato in questi anni. Ed è sicuramente una scelta fuori dal normale: una delle tante del sottoscritto.Tracciata sul solco dell’ironia, che riempie il disco intero. Un disco che si nutre del tepore dei suoi suoni, delle sue note. E del calore del mio amore».

My Love and I (Philology, 2005)
Giuseppe Bassi (contrabbasso), Fabrizio Scarafile (sax tenore), Nicola Andrioli (pianoforte) & Mimmo Campanale (batteria). Guest Dado Moroni (pianoforte), Guido Di Leone (chitarra), Paola Arnesano (voce) ed Ettore Carucci (piano)

(pubblicato dal mensile "Pigreco")

martedì 15 marzo 2005

Giovani di successo. Che verrà

Giovani, giovanissimi. Di talento rampante. E già sui palcoscenici europei: giusto per sottolineare che il jazz non possiede confini. E che ama diffondersi rapidamente, valicando ogni frontiera. Sono quattro: e ognuno di loro arriva da un angolo diverso d’Europa. Il leader è Andy Davies e il sound della sua tromba arriva dall’Inghilterra. Lorenzo Bassignani è il bassista italiano. Reinis Axelsson è il batterista svedese. E Eivind Lodemel si è avvicinato al pianoforte in Norvegia. Insieme, propongono tonalità (inaspettatamente) calde che, probabilmente, stridono con il forte quoziente di nordicità del gruppo. Senza intaccare, peraltro, la compostezza della loro musica e, più in generale, del confezionamento del concerto.
L’Andy Davies Quartet sta presentando il suo primo (e omonimo) lavoro discografico, mostrando coesione e dispensando improvvisazioni interessanti. Ma, soprattutto, Il repertorio - godibile - sa catturare le attenzioni di chi ascolta. Esattamente quello che è accaduto al Uéffilo di Gioia del Colle a metà marzo, nel live che ha caratterizzato l’unica tappa italiana al sud dell’ensemble, già passato anche per il Giappone. Un live (arricchitosi, nella seconda parte, con la voce di Chrissie Oppedisano, prestata in tre brani) che voluto anche fortificare il già ottimo rapporto stabilitosi tra la cantina di Filippo Cazzolla, inaugurata a metà dello scorso dicembre, e il jazz (non solo di casa nostra).
E sì, perchè l’eno-food-jazz club di via Boscia, all’interno delle sue mura cinquecentesche ha già ospitato in quattro mesi di attività – con la collaborazione di Jazzitalia– Daniele Scannapieco, Antonio Onorato, Joe Amoruso, Maurizio Giammarco, il bopper canadese Bob Bonisolo, Marco Tamburini, JD Allen & il Fabio Morgera Quintet e alcune formazioni rigorasamente pugliesi (per esempio quella capitanata da Larry Franco, il quintetto di Cinzia Tedesco, il quartetto di Giuseppe Bassi e il Cinzia Eramo Trio, che ha riletto alcune composizioni di Duke Ellington). Senza contare gli appuntamenti in programma nel corso di aprile: ingredienti, questi, che hanno ormai eletto lo Uèffilo (uèffile, in dialetto gioiese, significa sorso di vino) nella cerchia ristretta delle location di riferimento del jazz, come – del resto – dimostrano le sempre più frequenti jam session organizzate da Guido Di Leone.

Andy Davies Quartet (Andy Davies: tromba; Eivind Lodemel: pianoforte; Lorenzo Bassignani: contrabasso; Reinis Axelsson: batteria)
Gioia del Colle (BA), Uèffilo Cantina a Sud

(pubblicato sul mensile "Pigreco")

lunedì 14 febbraio 2005

Dischi - Perche (Folkabbestia)

I Folkabbestia ci riprovano. Con l’ironia di sempre e con quella capacità di miscelare il proprio patrimonio musicale - che nasce nella quotidianità degli eventi - con le sonorità folk e quelle più moderne che si avvicinano al rock d’autore. Passando, magari, per quelle esperienze maturate negli ultimi tempi, che hanno portato la band barese ad oltrevarcare i confini regionali (i tempi de "U Fricchettone", irriverente e fortunatissima salsa appulo-irlandese, sono sorpassati, anche se niente affatto rimossi) e ad esibirsi – sempre più frequentemente – nel resto dell’Italia e anche all’estero (soprattutto in Germania, ultimamente). E, perchè no, passando per quell’impresa di resistenza fisica costituita dalla maratona musicale (un’esecuzione si è protratta per trenta ore) effettuata nel novembre del duemilatre all’interno dell’Auditorium Demetrios Stratos di Radio Popolare a Milano e già assorbita dalla sacralità dei registri del Guinness (il primato è mondiale).
Da febbraio, è questa la novità, il mercato discografico nazionale propone l’ultima disco del gruppo pugliese (Lorenzo Manarini: voce e chitarra; Nicola De Liso: batteria; Francesco Fiore: basso; Fabio Losito: violino; Pietro Santoro: fisarmonica): il cd, presentato ufficialmente nello spazio che la Feltrinelli di Bari mensilmente destina ai live e ai vernissage, si chiama Perche (proprio così, senza accento), è prodotto dalla milanese UPR Folkrock ed è distribuito da Edel.
«Perche – 44 Date in Fila per Tre con il Resto di Due», che si avvale della produzione artistica di Alessandro Finax – componente dei Bandabardò - e di diciannove tracce, è in realtà una rivisitazione dal vivo del percorso tracciato sin qui dai Folkabbestia: infatti, a parte due brani inediti incisi in studio ("Perche", che offre il titolo all’album, e "Un Altro Giorno") e tre cover ("Cicce Pè", "Tambureddu" e il celebre "Vulesse Addeventare nu Brigante", canto tradizionale lucano), gli altri pezzi del mosaico costituiscono una selezione effettuata negli oltre cinquecento concerti consumati sin qui.
Gli arrangiamenti, tuttavia, sono stati curati in studio. Così come è volutamente curata la riscoperta della canzone d’autore italiana, opportunamente rivisitata: "Tambureddu", per esempio, è un brano reso celebre da Domenico Modugno, uno di quegli autori verso cui i Folkabbestia non hanno mai nascosto di ispirarsi. Un brano che, però, non condiziona il binario imboccato da tempo dall’ensemble pugliese: per la quale i temi sociali più scottanti restano fonte artistica inesauribile.

Perche (UPR Folkrock, 2005)

Folkabbestia (Lorenzo Manarini: voce e chitarra; Nicola De Liso: batteria; Francesco Fiore: basso; Fabio Losito: violino; Pietro Santoro: fisarmonica)

(pubblicato dal mensile "Pigreco")

sabato 22 gennaio 2005

Giù il cappello. A cilindro

La giovane canzone d’autore italiana si agita ancora. E si evolve. Affacciandosi sui binari di una contaminazione che, magari, allarga progressivamente i propri orizzonti. Spiando, perchè no, soluzioni nuove e percorribili. E, ovviamente, cercando il punto di incontro tra note e parole, tra testo e spartito. Il cantautorato, cioè, resiste tuttora: ramificandosi. E fornendo più o meno puntualmente nomi e cognomi da scoprire. Purchè ci si doti di volontà e pazienza: in quanto la ricerca è ostica. E perchè i germi dell’appiattimento (culturale, artistico, musicale, sociale, intellettuale: fate voi) contagiano organizzatori e pubblico. Oggi come ieri. O, forse, oggi più di ieri. E purchè emerga l’esigenza di offrire un prodotto sempre stimolante, anche se sconosciuto sulle piazze in cui si opera.
Popularia, in questi concetti, ci crede da un po’ e continua a crederci: con non poche difficoltà da oltrevarcare. Appoggiandosi (anzi, sorreggendosi) sulla forza imprenditoriale di Mario Pagliara e sulla buona reputazione musicale assorbita nel tempo dall’Osteria Vecchie Storie di Lizzano. Dove, all’interno della rassegna Strane Storie, a metà gennaio, il Cappello a Cilindro – band laziale emergente – ha spiegato e presentato le proprie idee e il proprio sound. Un sound, peraltro, impastato di ritmo e di senso della comunicazione, elementi concentrati in un live pieno, ma anche snodatosi con facilità.
Musica d’autore, dunque. Interpretata con brio e cavalcata dai fiati, talvolta balcaneggianti, talvolta semplicemente spumeggianti, assai spesso consacrati alle sonorità dello ska. Musica d’autore misurata dall’ironia e temperata da testi non eccessivamente inquietanti e niente affatto ermetici o socialmente ponderosi. L’ottetto dei Castelli Romani (Emanuele Colandrea: voce, chitarra e, all’occorrenza, percussioni; Matteo Scannicchio: tastiere e fisarmonica; Santi Romano: basso elettrico; Corrado Maria De Santis: chitarra elettrica; Fabrizio Colella: batteria; Simone Nanni: tromba e flicorno; Carmine Pagano: trombone; Augusto Pallocca: sassofono) trasmette, in realtà, pensieri di quotidiana esistenza, dotandoli di effervescenza e leggerezza. Irrorando il concerto di un soddisfacente quoziente di maturità musicale e di una spontanea esplosività.
«Evidentemente, c’è ancora qualcosa di nuovo da dire, nel panorama della musica italiana»: parole di Roberto D’Ostuni, che con Massimo Raho cura la direzione artistica del cartellone Strane Storie. Parole buone a riassumere un’ora e mezza di musica frizzante, ricca di note e arrangiamenti, in qualche frangente persino caposseleggiante (in occasione di "Ultimo Waltzer" e di "Mal di Schiena", ad esempio), in cui la formazione del Cappello a Cilindro ha pure colto l’opportunità di pubblicizzare «Poeticherie», la sua prima fatica discografica (sia detto: il disco è assai più misurato del live) generata nel duemilaquattro. Che si propone di precedere ulteriori intuizioni godibili e felici.

Il Cappello a Cilindro (Emanuele Colandrea: voce, chitarra e percussioni; Matteo Scannicchio: tastiere e fisarmonica; Santi Romano: basso elettrico; Corrado Maria De Santis: chitarra elettrica; Fabrizio Colella: batteria; Simone Nanni: tromba e flicorno; Carmine Pagano: trombone; Augusto Pallocca: sassofono)

Lizzano (TA), Osteria Vecchie Storie

Popularia 2005

(pubblicato dal mensile "Pigreco")