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giovedì 2 giugno 2011

Il cinema secondo i Bumps


C’erano i Tàngheri, un tempo. A bagnarsi d’ironia tra il tango e il jazz e, più tardi, pure tra molte venature rock. Talvolta, cavalcando (e schernendo) i luoghi comuni che si mescolano alle note. Con il loro corredo di live per gli angoli della Puglia e di dischi pubblicati (tre: due dei quali condivisi con Marc Ribot, chitarrista legato - tra gli altri - a Tom Waits). Un giorno, però, Antonio Di Lorenzo, Davide Penta e Vince Abbracciante decidono di reinventarsi. Meglio ancora, di dedicarsi ad un percorso nuovo, diverso. Cambia, prima di tutto, il nome del gruppo. Non più Tàngheri, ma The Bumps. Non più tango, non più jazz. Ma più tonalità anni settanta, più elettricità, accordi d’assalto. E niente più fisarmonica, ad esempio. Vince Abbracciante approfondisce la conoscenza con l’hammond, il rhodes e il farfisa. Resta, sul fondo, un’anima rockettara che si fonde con i ricordi di una volta e con quello che viene in mente, lì per lì. Il disegno diventa un frullatore di stili e di tendenze. E ci entra praticamente di tutto.
A questo punto, però, occorre anche ideare un repertorio di una certa originalità. Come certe musiche da film, magari non troppo ripercorse negli anni, rivedute e riarrangiate in stile Bumps. Per esempio, un motivo (“Milano Rithm’n’Blues”) tratto da La Morte Risale a Ieri Sera, pellicola del millenovecentosettanta di Duccio Tessari. O un altro (“Hammondissimo Bellotti”) ispirato da Bellotti Forever di Pierfortunato Pigni. Oppure “Una Rosa per Tutti” di Bacalov, prelevato dall’ononimo film di Franco Rossi. O l’allegretto morriconiano di Le Foto Proibite di una Signora per Bene, di Luciano Ercoli, o una delle colonne sonore di Bello, Onesto, Emigrato Australia di Luigi Zampa, de Il Dio Serpente di Piero Vivarelli, de Il Commissario Pepe di Ettore Scola, de Gli Ordini Sono Ordini di Franco Girardi, de La Matriarca di Pasquale Festa Campanile, di Emmanuelle From Paris di Felice Troppo, di Rivelazioni di un Maniaco Sessuale di Roberto Bianchi e di Né Capo, Né Coda di Furio Pacifico. Oltre, ovviamente, a un ritaglio musicale ricavato dal film Il Ritorno dei Bumps di Gualtiero Mezzacolli: che non poteva mancare.
Fatto il repertorio, va a finire quasi sempre così, fatto anche il disco. Appena uscito (aprile) con la griffe Bumps Records (e sì, perchè la creazione di un'etichetta propria è un ramo del progetto). Si chiama Playin’ Italian Cinedelics: quattordici tracce realizzate con la collaborazione di altri musicisti pugliesi (i vocalist Giuseppe Delre e Francesca Leone, i sassofonisti Claudio Chiarelli e Francesco Lomangino, il chitarrista Giuseppe Pascucci, il flicornista Silvestro Di Tano) e confezionate da una copertina decisamente vintage. Che rende l’idea. E che prepara spiritualmente alla presentazione del lavoro, prevista nei prossimi giorni (il quattro giugno) a Fasano, parte integrante dell’edizione duemilaundici di Fasano Jazz. In cui, per la verità, la band allarga gli orizzonti, ospitando alcuni amici (come il chitarrista materano Dino Plasmati e il sassofonista Fabrizio Scarafile) e la voce di Mia Cooper. Scherzandoci sopra: perché, anche se cambia il nome del gruppo, il target di riferimento e il progetto, non muta la filosofia musicale di fondo. Strettamente legata a quel concetto di cui i Bumps sembrano fieri, tanto da esibirlo sul sito web del trio: «un irriverente fluttuare tra jazz e avanguardia, noise music e scampoli rock, reminiscenze cinematografiche e scatti urbani. Punk Jazz?».

The Bumps (Vince Abbracciante: organo Hammond, farfisa e rhodes; Davide Penta: contrabbasso, fender jazz e frankenbass; Antonio Di Lorenzo: batteria e percussioni; Francesca Leone: voce; Beppe Delre: voce e whistle; Francesco Lomangino: sax tenore e flauto; Claudio Chiarelli: sax alto; Giuseppe Pascucci: chitarra; Silvestro Di Tano: flicorno)
Playin’ Italian Cinedelics (Bumps Records, aprile 2011)

giovedì 7 giugno 2007

E, trent'anni dopo, l'Apogeo

Trent’anni di Perigeo e della sua storia non avrebbero potuto dissolversi così, impunemente. Quel progetto targato Giovanni Tommaso, del resto, è riuscito a segnare il sentiero intrapreso dal jazz italiano, curioso di approcciarsi a sonorità più moderne, più avanzate. E poi trent’anni, in ogni caso, rappresentano una dote importante, una porzione di tempo liofilizzata in un impegno che non andrebbe dilapidato, mai. Trent’anni dopo, allora, arriva l’Apogeo. E c’è ancora, dietro e davanti le quinte, Giovanni Tommaso, contrabbassista di culto e di militanza corazzata, ma anche di solido palmarès e di ampio retroterra artistico. Già, l’Apogeo: in realtà, altro non è che un quintetto incaricatosi di riallacciare il discorso, quel vecchio discorso interrotto del Perigeo. Il Perigeo di Tommaso, ma anche di Bruno Biriaco alla batteria, Claudio Fasoli al sax, Tony Sidney alla chitarra e Franco D'Andrea al piano. Riallacciare il discorso, ecco il punto. Indicare una via nuova, che parta da quella più antica. Coinvolgendo (alcuni) compagni nuovi. E proprio Tommaso, anche se non lo dichiara apertamente, fa intendere il senso del progetto. Con chiarezza. Non per coltivare le ombre ingombranti della nostalgia. Ma, probabilmente, per il gusto di riunire la propria esperienza musicale, quella del chitarrista Bebo Ferra e del batterista Anthony Pinciotti con la il rampantismo virtuoso di un sassofonista non più emergente (meglio dire: già emerso) come Daniele Scannapieco e la vitalità del pianoforte gestito dalle mani di Claudio Filippini. L’Apogeo, dunque, prova a difendere il concetto di continuità. Dimostrando che c’è qualcosa da dire, ancora. E da offrire. Facendolo con un concerto robusto, ma non eccessivamente trasgressivo, malgrado il rockeggiare della chitarra di Ferra, che si preoccupa di trascinare il sound verso sponde meno convenzionali. Delegando, però, il sax di Scannapieco a riaccostare le tonalità più tipiche del jazz: il jazz nella sua accezione, diciamo pure, più consueta. Con un concerto quadratosi a lavori in corso e inserito nel cartellone duemilasette di Fasano Jazz, in seconda battuta (avevano aperto la rassegna i Soft Machine Legacy di Teo Thravis; la chiudono i Tàngheri, con un live che lega il tango e il jazz). Un concerto, soprattutto, inedito. E sì: l’Apogeo, in terra di Puglia, ha debuttato davanti a una platea. A tutti gli effetti. Perché l’idea è ancora abbastanza giovane e perché l’unico precedente incontro dei cinque protagonisti avviene tra le pareti di uno studio di registrazione romano, dove nasce il disco che conferisce maggior dignità al progetto, accompagnandolo. Particolare, questo che non sfugge, peraltro. Almeno in partenza. La prestazione piace da sùbito, ma decolla definitivamente quando l’intesa si consolida, a musica già avviata. Le poche ore di interazione, cioè, traspaiono. Per poi sfumare e consegnare un’ora e mezza di buone intuizioni, di assoli di pregio, di buoni ritmi e di energia sufficiente a soddisfare la gente radunata in largo San Giovanni Battista. Ma anche novanta minuti di respiro vasto, intensi. Moderni, ma quanto basta. E niente affatto freddi. L’Apogeo decide di non impressionare deliberatamente con effetti sconvolgenti. E, dunque, di non esagerare. Mantenendo saldo il legame con quel jazz da cui si nutre. Affacciandosi, quando serve, verso orizzonti più aperti. Ma assicurandosi (e assicurando) un equilibrio intelligente. Persino colto. Perché, a suo modo, raffinato.

Giovanni Tommaso “Apogeo” Quintet (Giovanni Tommaso: contrabbasso; Bebo Ferra: chitarra elettrica; Daniele Scannapieco: sassofono; Claudio Filippini: pianoforte; Anthony Pinciotti: batteria)
Fasano (BR), Largo San Giovanni Battista
Fasano Jazz 2007

(pubblicato sul sito www.levignepiene.com)