lunedì 26 aprile 2004

Joyce, bossa profonda

ecce chiama ancora il Brasile e il Brasile risponde. E l’abitudine di incontrarsi si consolida: piacevolmente. Accadeva in estate, quella appena passata: allora da Palazzo Adorno passarono Gilberto Gil e Maria Bethânia e, subito dopo, Caetano Veloso riempì Piazza Duomo. E accade di nuovo, ad aprile, quando la rassegna «Jazle 2004» tributa il suo penultimo spazio a Joyce. Stavolta non nella consueta cornice del Teatro Paisiello, dove dodici mesi prima transitarono Jacques Morelenbaum e il Quarteto Jobim, ma nel più defilato e freddo Teatro Don Bosco. Dove l’impressione è che l’appuntamento, meritevole di un’affluenza più corposa, passi abbastanza inosservato. Seminando qualche spicciolo di rammarico.
Il palcoscenico cambia, ma il Brasile svicola ugualmente: con discrezione e garbo. Perché Joyce si concede una serata di bossa profonda, contaminata da poche - pochissime - divagazioni. Immergendosi nei classici: rivisitati appena, per non cavalcare il pericolo di stravolgerli. Elargendo almeno quattro brani immortali: utili a sintonizzarsi sulla modulazione di frequenza di quanti non convivono abitualmente con le sonorità di oltre oceano. E ripercorrendo il solco della tradizione: cioè scegliendo un compromesso tra la sua musica e quella che la gente, quasi sempre, si attende di ascoltare in un concerto di un artista brasiliano.
Joyce compone, corposamente. Questa volta, però, si preferisce interprete. O, almeno, non esclude affatto questa possibilità. E, allora, sgorgano "Aguas de Março", "Corcovado" e "Ela é Carioca" di Tom Jobim, "Eu e Você" di Carlos Lyra, "Samba da Bênção" di Vinícius. E poi, ancora, "Upa Neguinho" di Edu Lobo, che finisce inevitabilmente per raccontare un pezzo della storia di Elis Regina, e "Aquarela do Brasil" di Ary Barroso («E’ l’inno nazionale brasiliano», certifica). Prima di tornare indietro nel tempo, riproponendo "O Que E' Que a Baiana Tem" di Dorival Caymmi, con cui il live si chiude definitivamente.
Joyce è brio, dosato con leggerezza. Probabilmente perché è figlia della bossa: etichetta che ostenta con orgoglio, ripetutamente. «Quando arrivai in Italia per la prima volta, ero al seguito di Vinícius de Moraes e di Toquinho». Quella tournée fu itinerante, persino nel nome: Il Poeta, la Ragazza e la Chitarra. «La mia generazione si è formata con la bossa nova. E proprio Vinícius e Tom Jobim sono i miei padrini musicali. E, anche se oggi tento nuove soluzioni artistiche, non dimentico la mia provenienza, il mio passato».
Il jazz entra in scaletta con `The Band on the World`, brano che abbraccia l’inglese, dedicato ad un vecchio club di Manchester, e si sviscera con le improvvisazioni di Teco Cardoso (flauto e sax), Rodolfo Stroeter (basso) e Tutty Moreno (batteria), che chiudono la prima parte del concerto. Il viaggio si concede anche una deviazione alla ricerca delle radici, raggiungendo il luar de Luanda: alla fine, però, ripara ancora nella bossa. Cioè, in una sedia e una chitarra: «La bossa ha bisogno di una sedia: non ho mai visto João Gilberto esibirsi in piedi. E, ovviamente, poi ci vuole concentrazione».
E passione. «Chiaro. Al di là del desiderio di innovazione che sta attraversando il Brasile. Ci sono molti artisti, da noi, che stanno crescendo e si stanno imponendo, sperimentando strade nuove. Artisti che, spesso, sono i discendenti naturali di chi ha contribuito a disegnare il panorama musicale del nostro Paese negli anni Sessanta e Settanta. Prendete la figlia di Elis Regina, Maria Rita. O Simoninha, il figlio di Wilson Simonal. E anch’io ho due eredi che hanno iniziato il proprio percorso: Ana Martins e Clara Moreno. Del resto, la musica brasiliana esce da un momento particolare, in cui le case discografiche avevano impartito una politica eccessivamente commerciale. Credo, tuttavia, che qualcosa sia cambiato o stia cambiando. Diciamo pure che la situazione tende ad un miglioramento evidente. La musica brasiliana si avvicina al futuro, perché possiede un futuro, oltre che un passato. Un passato che deve essere riconosciuto come patrimonio dell’umanità».

Joyce (voce e chitarra), Teco Cardoso (flauto e sassofono), Rodolfo Stroeter (basso) & Tutty Moreno (batteria)
Lecce, Teatro Don Bosco
Jazle 2004

(pubblicato dal sito www.musibrasil.net)