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mercoledì 25 agosto 2010

Dal folklore al tango


Dalle tradizioni di un’Italia povera e pure un po’ sbandata al nuovo mondo, sanguigno e nostalgico, costruito su fatiche e speranze. Dalle terre amare consegnate ai ricordi al miraggio dell’Argentina, nuova realtà di una generazione accatastata sulle navi. E pronta a ripartire dalla terra ferma di un Sudamerica che si consolida e si evolve. Tango También... Dal Folklore al Tango è il racconto sonoro di un’epoca. Di un travaglio. E della storia di molti. Ed è un viaggio nella musica di due generazioni. Forse, anche di tre. Nella musica di due continenti, di due universi culturali. E, a pensarci bene, di uno stesso popolo. E’ il viaggio verso il tango. Che è (pure? Soprattutto?) il tango di Piazzolla, figlio d’emigrante e nipote perduto di una Puglia ancora arcaica. Un viaggio segnato da un ritorno emozionale, ma non geografico. Che solca le origini, raggruppandole. Un percorso dai profumi forti, dove molte malinconie si confondono. E premono. Tango También è il viaggio che il poliedrico Rocco Capri Chiumarulo, il Nuevo Tango Emsemble (ovvero il bandoneonista foggiano Gianni Iorio, il pianista Pasquale Stafano e il bassista Pierluigi Balducci), il polistrumentista altamurano Nico Berardi e il percussionista Pippo D’Ambrosio intraprendono tra gli ulivi di Cristo delle Zolle per l’Estate Monopolitana 2010, sotto la supervisione dell’associazione culturale Terrae. Che, idealmente, parte dalle parole dello scrittore e drammaturgo Manuel Puig: «I messicani discendono dagli aztechi, i peruviani dagli inca, gli argentini discendono dalle navi». E che sintetizza le tappe di una migrazione dai contorni drammatici, eppure capace di trascinare per l’oceano l’energia del folklore e delle genti del meridione d’Italia, ma anche «la poesia e lo struggimento per un tempo passato che non tornerà mai più». Diventando la causa (o il pretesto) di un fenomeno di meticciato assolutamente originale.
Rocco Capri Chiumarulo guida, istruisce, spiega. La sua voce si intreccia immediatamente con la zampogna di Nico Berardi. La modugnana Amara Terra Mia è l’inizio della storia. E del viaggio. E’ quello che resta alle spalle, è la motivazione che spinge a cercarsi un futuro altrove, lontano. Si unisce Pippo D’Ambrosio e cominciano a scorrere i fotogrammi immaginari, vergati dai versi di Peteco Carbajal, Alfonsina Storni e Jorge Luís Borges, dai tanghi di Gardel, dalle note bagnate di huayno, vals, candomble, chacarera, zamba, milonga. Il Nuevo Tango Ensemble sale sul palcoscenico più tardi, disegnando una sorta di staffetta: scenograficamente corretto. E’ la prospettiva che cambia. E’ l’Argentina che cresce. E’ il nuovo che avanza. Iorio, Stafano e Balducci indugiando sull’universo piazzolliano. Poi, prima che il concerto si concluda, si ritrovano tutti assieme. Perché l’Argentina è la somma di due popoli, di due culture. O il concentrato di una storia dolente. Nata, anche e soprattutto, nelle terre di Puglia. E, infine, raccontata da pugliesi. Un omaggio al tango. Un omaggio alla musica. Alle nostre coscienze. E alla nostra memoria storica.

Rocco Capri Chiumarulo (voce), Nico Berardi (zampogna, charango, flauto dolce e chitarra), Pippo “Ark” D’Ambrosio (percussioni) & Nuevo Tango Ensemble (Gianni Iorio: bandoneón; Pasquale Stafano: pianoforte; Pierluigi Balducci: basso acustico e basso elettrico) in “Tango También… Dal Folklore al Tango”
Cristo delle Zolle di Monopoli (BA), Anfiteatro
Estate Monopolitana 2010

mercoledì 29 luglio 2009

Ricordi senza frontiere

Concierto Intimo. Concerto sulle tracce del Sudamerica. Il Sudamerica quasi arcaico. Ma anche il Sudamerica dei giorni appena passati: giorni di lotta dura e di sangue, soprattutto. Giorni vissuti intensamente, nel terrore e nella speranza. E, infine, nel Sudamerica di sempre: che ha rivendicato terra e libertà, oppure la semplice dignità nazionale. E che ancora rivendica: una visibilità vera, un posto al tavolo della concertazione globale. Concierto Intimo. Ma intimo perché? Perché, se poi gli spartiti dirottano verso il Messsico e verso Cuba, affettivimante vicini, ma geograficamente più distanti? E se poi la musica plana sulle coste dell’Europa? Concierto Intimo, allora, è davvero un modo per seminascondere la matrice di un’idea? Quella, cioè, di ripercorrere gli anni più avvelenati e il percorso più faticoso ed esaltante degli Inti Illimani, gruppo di culto di una generazione intera e simbolo tra i simboli di un’epoca? Sì, verrebbe da dire di sì. Perché, sul palco delle Cave di Fantiano, a Grottaglie, singolare teatro all’aperto recentemente recuperato (concerti o no, è consigliabile la visita) e scelto dalla locale amministrazione comunale per accogliere le tre date della rassegna Musica Mundi, con gli Acanto – formazione italianissima – ci sono il chitarrista cileno Raul Céspedes e, innanzi tutto, Max Berrú Carrión, uno dei fondatori di quella formazione ormai transitata nella leggenda della musica del secolo passato. Del resto, quelle prime quattro lettere di Intimo, coincidono perfettamente con le prime quattro di quella parola un po’ magica, Inti Illimani. Utili, chissà, a risvegliare gli animi di certi nostalgici che ancora possiedono la forza di muoversi, riunirsi ed ascoltare. E sperare, perché no. Adesso più di prima: proprio quando gli Inti Illimani – l’ensemble che continua a trascinarsi il nome del progetto originario e il senso della storia - hanno già inaugurato un percorso differente. O meglio: più vicino alle origini, ovvero alla musica popolare latinoamericana. Con una produzione nuova, sgravata da certe ombre di avant’ieri.
Intimo ed Inti Illimani: ecco, sembra tutto chiaro. Eppure, Concierto Intimo sembra solo gravitare attorno agli Inti Illimani e a quelle ombre di avant’ieri. E’ vero, c’è il pretesto: Max Berrú, appunto. E c’è anche un certo prurito, perché negarlo. Anche perché molta di quella gente seduta in platea non attende che certe quarantennali note. Quelle note di un’epoca. Di una generazione. Ma Concierto Intimo cerca di scavalcare la barriera. Di sganciarsi da quella palpabile sensazione di attesa. Da quel marchio di fabbrica che, consapevolmente oppure no, si è incollato addosso. Ecco perché l’approccio dell’esibizione circumnaviga i titoli delle canzoni più amate. E la scaletta viaggia, come si diceva, dal Messico di “Nuestro México Feverero ‘23”, un inno che celebra la vittora di Panza sulle forze statunitensi e una storia cancellata dalla storia, e di “La Petenera” ai ritmi caraibici come la sfruttatissima “Guantanamera”; dalle composizioni dell’indimenticabile Victor Jara al duplice ed apprezzabile omaggio (la felicissima versione di “Dolcenera” e “Andrea”) a Fabrizio De Andrè; dalla rivisitazione molto rispettosa di “Pe’ Dispietto”, della Nuova Compagnia di Canto Popolare, alla riscoperta di motivi colombiani e peruviani. Lasciando, peraltro, lo spazio per un brano originale, “Apeninas” di Giancarlo Odoardi, pluristrumentista di lunga navigazione, e per le intillimaniane “Rin del Angelito” (atto dovuto alle qualità compositive di Violeta Parra), “Simón Bolívar” e “Alturas”. Come a dire: ritroviamo lo spirito di quegli anni, di quel gruppo, di quegli Inti Illimani. Ma sappiamo fare anche altro. E cerchiamo di abbracciare la terra latinoamericana per intera. Anzi, il mondo. Intimo sì: ma il Concierto azzera le frontiere e respira profondamente.
«Vengo dal Cile e porto il saluto dei cileni e della democrazia, faticosamente riconquistata», dice Max Berrú. «Quella democrazia che si è allargata in tutto il continente». E’ l’unico tributo del leader al ricordo. Prima e dopo, solo note ricostruite con maniacale fedeltà (talvolta, sembra di riascoltare i vecchi vinili) e un’ambientazione curata nei particolari. Gli Acanto, i sei componenti della formazione che accompagna i guest Céspedes e Berrú, ruotano attorno agli strumenti e si esprimono in uno spagnolo convincente: merce rara, in tempi di globalizzazione spicciola e di superficialità sovrana. Alla fine, però, devono pur cedere alle pressioni del pubblico che aspetta e che ancora non si è completamente riscaldato. Dopo gli applausi di fine concerto, arrivano i bis, come un treno. Il treno del passato, mai dimenticato. “Fiesta de San Benito”, “Canción del Poder Popular” e “El Pueblo Unido Jamás Será Vencido”: sì, ci siamo. Siamo al punto in cui saremmo dovuti arrivare. In cui sapevamo di dover arrivare. Parte, timidamente, anche il pugno sinistro di Max Berrú e qualcuno chiede – inutilmente – gli accordi immortali di “Hasta Siempre, Comandante”. Sarà per un’altra volta, magari. L’atmosfera si è infervorata, proprio sui titoli di coda. Ma la gente defluisce contenta. Soddisfatta da due ore lontane dagli schemi. E appagata: in fondo, molti erano lì per un solo motivo.

Max Berrú Carrión (voce e congas), Raul Céspedes (chitarre) & Acanto (Riccardo Iacobone: voce e chitarra; Pietro D’Antonio: flauto, chitarre e voce; Giancarlo Odoardi: chitarra, fisarmonica e percussioni e voce; Normando Marcolongo: basso, contrabbasso e voce; Giuliano Angelozzi: flauti, chitarre, percussioni e voce; Luca Bellisario: batteria, percusioni e voce) in “Concierto INTImo”

Grottaglie (TA), Cave di Fantiano
Musica Mundi 2009

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

sabato 25 novembre 2006

L'Argentina vista da Córdoba

Argentina, quella croce del sud nel cielo terso, equazione senza risultato, capovolta ambiguità d’Orione. Testo (e letteratura, pittoresca ma credibile) di Guccini, tra verità e magia, percezioni e poesia urbana, sensazioni e realtà quotidiana. Ormai datata, ma ancora terribilmente attuale. Argentina, terra divisa tra il passato e un futuro intravisto, da sempre, con inquietudine e incertezza, di pensieri profondi e nobiltà svilite da accadimenti – ancora troppo vicini - inenarrabili e indelebili, Di languori e umori antichi. Mèta di curiosità strisciante, tra le apprensioni di sempre e una recessione da affrontare, ogni giorno, da giorni lunghi e duri. Argentina, di tanghi tragici e, comunque, di musica adulta. Di Gardel e Piazzolla, si usa dire. Sino a scomodare Silvio Rodríguez, che tanguero non lo è mai stato. E terra, tuttavia, di altre note ancora: perché, al di là del tango, c’è un Paese che respira, una cultura che pulsa. E ci sono altri percorsi musicali: che solo l’egemonia di una di esse, grande e senza tempo – il tango, appunto - ha saputo oscurare oltre i confini nazionali e, perciò, appartare dal pubblico più vasto. La verve jazzofila e terragna di Javier Girotto, allora, arriva in tempo a ricordarci che c’è un mondo, tra l’Equatore e la Terra del Fuoco, dove convivono pure milonga (parente stretta del tango, è vero) e chaya, chacarera e samba (la samba, con l’articolo al femminile, che non è il samba, brasiliano e differente). Stili e musicalità che il sassofonista di Córdoba, ospite più o meno storico della rassegna «Antiphonae», può permettersi di presentare alla platea dell’Auditorium Comunale di Locorotondo, nel terzo live dell’edizione 2006, accompagnato da Carlos Bruschini (basso e contrabbasso), Minino Garay (batteria e percussioni) e Gerardo Di Giusto (pianoforte). Presentandosi, cioè, in una veste nuova. O, meglio, inedita, da queste parti: quella dei Córdoba Reunión, quartetto che affronta il viaggio tra gli spartiti ispirandosi al jazz (e nutrendosi di jazz) per circumnavigare, sùbito dopo, le atmosfere più popolari di un’Argentina florida e malinconica, magica e gravida: di illusioni, disillusioni, speranze e disturbi. Córdoba Reunión, la compagnia di Córdoba, ovvero la città da cui ognuno degli integranti del quartetto si è formato, in attesa di spaziare oltre. Cioè, di emigrare: per poco o per tanto, temporaneamente o definitivamente. Come ogni argentino di talento - e non solo in campo musicale – è stato costretto a fare nel ventesimo e nel ventunesimo secolo. Proprio come Javier Girotto, rifugiatosi a Roma. O Minino Garay e Gerardo Di Giusto, trasferitisi nel fascino di Parigi. O Carlos Bruschini, transitato da Despeñaderos al Lago Maggiore. Córdoba Reunión, per servirvi. E per distribuire un progetto vivace e fresco, impastato di ritmo e di ritmi, di energia e calore. E anche di colore, perché no. Un progetto dai gusti rotondi, convincente. Talvolta effervescente. E, a tratti, persino esuberante. Questione di animo, oseremmo dire. Importunando una frase fatta e abusata, aggiungeremmo: questione di animo latino. Correndo il rischio serio di apparire scontati. Ovvio, l’impronta del live (e la direttrice dell’idea che lo genera) è fortemente jazzistica: nell’esecuzione e negli arrangiamenti. Ma l’incrocio di culture diverse e di esperienze musicali arricchisce, invece di sviare. In questo caso più che in altri. La contaminazione esiste, insiste: ma non corrode. Dà, piuttosto che sottrarre. E lascia maturare ulteriormente il progetto stesso. Che si evolve, dopo un settennato di cammino. «Ci siamo ritrovati dopo vent’anni, lontano dall’Argentina, in Europa. Vent’anni in cui ci eravamo un po’ persi, malgrado un passato remoto condiviso, agli albori delle carriere di ciascuno di noi», confessa Girotto. «E adesso torniamo nel nostro Paese, ad esibirci. Perché a dicembre presenteremo in tournée un nuovo lavoro discografico: che si chiama proprio Córdoba Reunión. Sono tutti brani originali. Ma, alla base del lavoro, convivono varie sezioni ritmiche». Il banco di prova è serio, serissimo. E quello di Buenos Ayres, tappa prima, ancora di più. Quattro vecchi ragazzi di Córdoba non passeranno inosservati. Assolutamente no.

Córdoba Reunión (Javier Girotto: sassofono; Gerardo Di Giusto: pianoforte; Carlos Bruschini: basso e contrabbasso; Minino Garay: batteria e percussioni)
Locorotondo (BA), Auditorium Comunale
Antiphonae 2006

(pubblicato sul sito www.levignepiene.com)