domenica 16 luglio 2006

Dulce, ritardo perdonato

Per la prima volta in Puglia. E con tre mesi di ritardo: ampiamente perdonati. Dulce Pontes è il fado di oggi. Che è, poi, il fado di sempre. Poco riveduto e poco corretto: per fortuna, aggiungiamo. Perché il sentimento portoghese rispetta e risparmia ancora la tradizione. Alla quale il lusitano concetto di saudade è saldamente e indissolubilmente legato. Dulce Pontes ha chiuso la sessantaquattresima stagione concertistica dell’Associazione Amici della Musica “Arcangelo Speranza”, protrattasi in estate proprio per garantire il live di maggior richiamo, inizialmente previsto per aprile e successivamente posticipato tra i pini del teatro all’aperto allestito all’interno di Villa Peripato. Dulce Pontes, però, è soprattutto la voce ufficiale del Portogallo più vero, erede diretta di Amália Rodrigues. Ed è una voce piena, pregnante, drammatica. Con la quale, probabilmente, da Trás-os-Montes all’Algarve, di questi tempi può competere solo quella di teresa Salgado, leader consacrata dei Madredeus, formazione che si è ormai abituata a guardare al futuro. Dulce Pontes, invece, no. Perché racconta un Portogallo antico, forse ancestrale. Con sentimento ed emozioni violente. Il suo è ancora il fado del cavaquinho e della chitarra portoghese: attraverso il quale sfilano immaginariamente i miradouros di Lisbona, l’anima di Alfama e di Socorro, il Tago onnipresente, l’idendità di un Paese che si sta freneticamente allineando su ritmi sconosciuti, appena quindici anni addietro. Senza concedere tributi alle contaminazioni, alla modernità galoppante. E senza dimenticare di bagnarsi nelle note di uno dei canti tradizionali più famosi, “Andorinha”, che chiude il concerto al secondo bis. Ecco, il concerto: sobrio, elegante. Intenso. Che il pubblico (strano, ma vero, a queste latitudini) insegue con attenzione, in silenzio quasi devoto. Dettagli di non trascurabile spessore, dei quali si cominciava ad avvertire l’esigenza. Dulce modula la voce e si presenta al pianoforte. Più tardi, si alza e lascia la totale responsabilità musicale ad Amadeu Magalhães (cavaquinho, chitarra acustica, braguesa, flauti e corno), Felipe Lucas (chitarra portoghese); José Soares (chitarra acustica), Paulo Feitera (chitarra acustica), Lopes Da Graça (oboe), Daniele Zaccaria (violoncello) e Beto Betuk (percussioni). Regalando, soprattutto, la fragranza del suo Portogallo.

Dulce Pontes (voce e pianoforte), Amadeu Magalhães (cavaquinho, chitarra acustica, braguesa, flauti e corno), Felipe Lucas (chitarra portoghese); José Soares (chitarra acustica), Paulo Feitera (chitarra acustica), Lopes Da Graça (oboe), Daniele Zaccaria (violoncello) e Beto Betuk (percussioni)

Taranto, Teatro all’aperto di Villa Peripato

64ma Stagione Concertistica dell'Associazione Amici della Musica "Arcangelo Speranza”

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

sabato 15 luglio 2006

Emozioni da palcoscenico

Non è sempre agevole assistere a concerti in equilibrio puntuale tra note ed emozioni, tra musica e parole. E non è sempre facile imbattersi in live ben confezionati, che sanno costruire l’atmosfera, alimentando lo spessore del prodotto. Anzi, non è neppure semplice ritrovarsi di fronte a concerti dosati nei particolari, curati nei dettagli. Dove non basta esibirsi. Dove, invece, vince l’esigenza di confrontarsi con se stessi: e, quindi, di migliorarsi. Eppure, a volte succede. Ed è successo: ultimamente, a metà luglio, a Torre Egnazia di Fasano, nell’area degli scavi archeologici, in occasione di Egnazia Estate ’06, dove i Radiodervish (Nabil Salameh: voce; Michele Lobaccaro: basso e chitarre; Alessandro Pipino: tastiere; Anila Bodini: violino) hanno replicato le tappe più significative del loro percorso artistico. In attesa di presentare – più avanti, quando i tempi saranno maturi – il prossimo lavoro discografico, in via di ottimizzazione.Nel frattempo, l’esibizione dei Radiodervish, mai incensati per quello che, in realtà, meriterebbero, ci ha convinti. Nuovamente, fortemente. Così come, già nello scorso mese di aprile, a Brindisi, quando l’incontro con l’attore (e la voce recitante) di Giuseppe Battiston generò il riuscitissimo spettacolo (griffato Teatro Pubblico Pugliese) Amara Terra Mia - Tra Parole e Musica, contenitore di sonorità (quelle consuete del gruppo appulo-palestinese) e riflessioni, di versi disperati e sensazioni crude, di umori e poesia profonda. Sì, ci ha convinti. Definitivamente. Tanto da poter urlare la certezza di considerare la formazione assolutamente in grado di poter reggere il confronto (ogni confronto) in ambito nazionale. Cioè molto al di là degli strettissimi confini regionali, dentro i quali sembrano ancora relegati dall’immaginario collettivo. Senza dubbio alcuno. Per la qualità delle sonorità prodotte, per la capacità di prendere per mano il concerto e, dunque, il pubblico, per l’eleganza nell’inseguire il particolare, per la bontà dei testi, per la precisa alchimia con cui vengono misturati impegno sociale e concetto di solidarietà, fragranze mediterranee ed orientali, parole di speranza e rispetto delle tradizioni. Tradizioni musicali e non: del resto, «Amara Terra Mia» è stato anche (o soprattutto) un omaggio a Modugno, oltre che un diario sviluppatosi nella quotidianità degli ultimi quindici anni italiani, segnati da quegli avvenimenti tragici che hanno aperto una discussione ancora irrisolta, legata indissolubilmente all’irraggiungibile piattaforma della tolleranza razziale e religiosa. Un diario in cui, al centro di ogni storia, ci sono l’uomo, i suoi ideali, il suo futuro, la fuga e l’approdo. E la convivenza. Motivi, questi, che rendono la musica dei Radiodervish vitale, istruttiva, irriverente, obbligatoria. E, probabilmente, anche scomoda. Particolare utile per continuare ad inseguirla. E incoraggiarla.

Radiodervish (Nabil Ben Salameh: voce e chitarre; Michele Lobaccaro: basso e chitarre; Alessandro Pipino: piano e tastiere; Giovanna Buccarella: violoncello)
Torre Egnazia di Fasano (BR), Area degli Scavi Archeologici
Egnazia Estate 06

(pubblicato sul sito www.levignepiene.com)

venerdì 14 luglio 2006

La signora scalza

Era attesa l’anno passato, Cesária Evora. A Lecce, all’interno del cartellone ricco e suggestivo del Negramaro Festival, dedicato alle arti e alla cultura di Capo Verde. La signora scalza, però, non arrivò: problemi personali. L’appuntamento, comunque, si è solo aggiornato di un anno: e la kermesse salentina ha inserito il live dentro la programmazione che circumnaviga la musica e le problematiche provenienti dall’Africa, continente sul quale sono riposte le attenzioni dell’edizione 2006, tuttora in corso di svolgimento. Nessun problema: del resto, Capo Verde – amministrativamente Portogallo, cioè Europa – è geograficamente parte integrante dell’Africa. E l’accostamento non sfigura. Anzi. Il concerto di Cesária Evora, peraltro, ha saputo attirare più gente del preventivato: non a caso, il palco (approntato, di concerto, dall’Amministrazione Provinciale di Lecce, dalla locale sede della CGIL e dal Centro Abusuan di Bari) ha traslocato nelle ultime ore, ritrovandosi davanti alla Curia Vescovile, nella calda e aristocratica cornice di Piazza Duomo, preferita al più raccolto chiostro del Palazzo dei Celestini. Segno evidente che, al di là dello spessore ormai riconosciuto dell’artista, la rassegna leccese è ormai entrata di diritto nell’ideale tracciato estivo dei pugliesi che amano gli spettacoli dal vivo. Come dimostrano le presenze fitte di appassionati arrivati anche da oltre il confine salentino. Tanta gente, allora. Fattore che, paradossalmente, ha sottratto qualcosa all’evento. In termini di atmosfera, soprattutto. Evento che – è un’opinione, ovviamente – ha guadagnato maggiore visibilità, ma non migliore ascoltabilità. E che, probabilmente, si sarebbe nutrito meglio con più intimità. Avremmo preferito, cioè, un contenitore meno dispersivo. Sgravato, magari, dal moto perpetuo di quanti hanno troppo spesso preferito dedicarsi alla birra più venduta o agli squilli dei propri cellulari, rigorosamente accesi. Ma questo è: e, di questi tempi, occorre accontentarsi della quantità numerica di pubblico, piuttosto che della qualità (e dell’attenzione) degli spettatori. In Puglia come altrove, sia chiaro. E diciamo pure che Cesária Evora (lo ammettiamo: meno carismatica e più fredda di quanto immaginassimo) ha rinunciato ad impalcare un feeling poderoso con la platea, limitandosi a cantare (bene) e mantenendo una certa distanza con il resto della piazza. Senza preoccuparsi, cioè, di condividere qualche concetto o – più semplicemente – qualche complicità. Per le quali non occorre dialogare nella stessa lingua, portoghese o italiano che sia. Anche se – va detto, è cronaca – la sua morna è riuscita a sradicare dalle sedie più di qualcuno, che ha rischiato il ballo, nonostante i ritmi niente affatto serrati. E nonostante qualche dettaglio (uno su tutti: l’utilizzazione incessante del sassofono) che sembra stridere con i concetti più tradizionali della musica popolare capoverdiana. Ma, evidentemente, la contaminazione è un’esigenza che ha varcato con sicurezza anche il Mediterraneo, spingendosi a sud.

Cesária Evora
Lecce, Piazza Duomo
Salento Negroamaro Festival

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

mercoledì 12 luglio 2006

La prima volta del Trio de Janeiro

Lui, chitarrista di talento ormai riconosciuto, anche oltre regione. E jazzista con la passione delle atmosfere mediterranee. Lei, vocalist salentina d’estrazione e barese d’adozione. E due preferenze: gli standard eleganti e gli autori brasiliani. Di bossa, ma non solo. L’altro, percussionista tranese, personaggio amabilissimo e musicista per purissimo diletto. Cioè, Guido Di Leone, Paola Arnesano ed Enzo Falco. Ovvero, il Trio de Janeiro, formazione che presta il titolo al cd appena approntato, da pochissimi giorni sul mercato discografico e firmato dall’etichetta indipendente Fo(u)r. Etichetta, peraltro, giovanissima, ideata proprio da Guido Di Leone lo scorso inverno. Il lavoro è ovviamente destinato ad un pubblico che apprezza la musica d’autore brasiliana che va dagli anni quaranta agli anni novanta e, anche e sopratttto, la bossa nova, non eccessivamente inquadrata dalle coordinate del jazz, storicamente parente stretto di molte tonalità che arrivano da quella fetta di Sud America. L’album è una raccolta di ventitre brani che attingono dal repertorio di Chico Buarque de Hollanda (“Atrás da Porta”), Ary Barroso (“Na Baixada do Sapateiro” e “Na Batucada da Vida”), Caetano Veloso (“Desde Que o Samba E’ Samba”), Tom Jobim (le immancabili “Desafinado”, “Insensantez”, “Aguas de Março” e “Garota de Ipanema”), Baden Powell (“Vou Deitar e Rolar”, “Lapinha”, “Cai Dentro” e “Samba Triste”), João Bosco (“Cobra Criada”, “Bala Com Bala”), Edu Lobo (“Corrida de Jangada”), Nelson Cavaquinho (“Folhas Secas”), Djavan (“Fato Consumado”), Gilberto Gil (“Meio de Campo” e “Amor Até o Fim”) e di altri autori ancora. Ventitre brani peraltro rivisitati in un live che ha voluto espressamente (e ufficialmente) presentare il prodotto finito, ma appaltato nel tempo: perché il Trio de Janeiro, di fatto, si muove sui palcoscenici di Puglia - e anche di fuori regione - da anni. Senza aver, però, mai generato un disco capace di sintetizzarne il percorso. Almeno sino ad oggi. Un live, oltre tutto, inconsueto: perché confezionato sul mare (anzi, sui due Mari), all’interno di un battello (Cala Junco, solitamente adibito al trasporto turistico). Musica in movimento, cioè: l’ultima frontiera abbattuta sulla strada degli spettacoli dal vivo. In una terra che, evidentemente, comincia ad avvertire il bisogno di industriarsi, di valutare nuove idee e di credere nel turismo, fonte mai troppo amata. Musica in movimento, frutto di un’invenzione di Larry Franco, pianista tarantino e, ovviamente, direttore artistico di una rassegna, «Jazz nei 2 Mari», che guarda al dixieland e anche oltre. E che ha offerto (e continuerà a farlo) altri appuntamenti, rigorosamente estivi. Tra le onde, intanto, il Trio de Janeiro ha saputo garantire spartiti lievi, ma intrisi di significato, non solo musicale (il repertorio brasiliano d’autore affonda le proprie radici anche nella ricercatezza dei testi: ma chi non conosce il portoghese avrà difficolta a percepirlo). Divertendosi, senza prendersi troppo sul serio. Puntando, nel contempo, sulla qualità. Ma, innanzi tutto, per Guido Di Leone e Paola Arnesano si è trattato di un ritorno (gradito) alle sonorità oroverdi: basti pensare alla precedente esperienza di «Abrasileirado», inciso con l’apporto di diversi musicisti di casa nostra, tra i quali Mario Rosini. Non troppi anni addietro.

Trio de Janeiro (Paola Arnesano: voce, surdo e congas; Guido Di Leone: chitarra; Enzo Falco: percussioni)
Taranto, Motonave Cala Junco
Jazz nei 2 Mari

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)