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mercoledì 12 dicembre 2012

Gateway to Life, un disco sincero

Dai classici di Porter alla composizione. Dall'interpretazione del jazz del periodo più lucido alla produzione propria, dove la canzone si arricchisce di dinamiche più moderne, più pop, più funk. Dal tributo alla storia ad una nuova sfida. Con se stessi. E con la musica che si evolve. Nei timbri, nel linguaggio. Giuseppe Delre, quattro anni dopo l'album d'esordio (Giuseppe Delre Sings Cole Porter, appunto), torna con un disco tutto suo, Gateway to Life, firmato Abeat Records, in circolazione dal 6 dicembre con il sostegno di Puglia Sounds e della Fondazione Andidero. Lavoro, questo, che raccoglie dodici brani, di cui due cover ("Yesterday", targata Lennon e McCartney, e "E Se Domani" della coppia Calabrese-Rossi, portato al successo da Mina e duplicato, all'interno del cd, pure in versione radiofonica). E, ad eccezione di due tracce cantate in italiano (a parte la già citata "E Se Domani", anche "Una Vecchia Storia") e una in portoghese ("Se"), sviluppato in inglese. Sintesi, evidentemente, di una certa evoluzione (e di una maturazione) artistica. E punto di passaggio di un percorso ponderato. In cui, peraltro, il vocalist molese non rinuncia a scrutare la quotidianità e le sue pieghe, oppure ad ammiccare al ventaglio di sentimenti che ruotano attorno alla gente comune.
Più atmosfere legate ai giorni nostri e meno swing: eppure, Gateway to Life resta un prodotto fondamentalmente elegante, cioè pensato ed eseguito con quel garbo che, poi, è una peculiarità dell'universo musicale del suo autore. Assistito, per l'occasione, anche dagli arrangiamenti per archi di Gianluigi Giannatiempo (un'assoluta garanzia, da questo punto di vista), dalle note del sassofonista newyorkese Michael Rosen e di diversi artisti pugliesi, che - prima di tutto - sono anche amici datati: è il caso di Vince Abbracciante ed Ettore Carucci (al Rhodes), di Fabio Accardi e Mimmo Campanale (alla batteria), di Nando Di Modugno (alla chitarra), di Mauro Gargano e Camillo Pace (al contrabbasso), di Francesco Lomangino (ai fiati) e di Mirko Signorile (al piano).
Gateway to Life, confessa Giuseppe Delre, è un disco sincero. E anche diretto: «Dieci brani nascono da esperienze di vita vissuta: sono storie che mi sono state raccontate e che mi hanno colpito, tanto da volerle rendere mie ed interpretarle. Storie che mi riguardano e che ho cercato di trascrivere senza fronzoli o orpelli inutili. Ho cercato di dare un anima più popular, ovvero più comunicativa, soprattutto perché i testi parlano della quotidianità e delle emozioni. Il disco parte dalla volontà di interpretare un mondo che, giorno dopo giorno, diviene sempre più rarefatto. Perennemente alla ricerca di un punto fermo e di una modalità interpretativa, questo lavoro è dedicato all'uomo moderno e alle sue passioni, alle sue paure e alla propria voglia di mettersi sempre in gioco. Al suo desiderio di svincolarsi dai condizionamenti per trovare finalmente la via, ovvero se stesso». La scelta dell'inglese, poi, non è casuale: ma un'esigenza dettata dalla metrica, che meglio convive con i fraseggi e certe note dell'album. «Volevo dare un taglio internazionale al progetto, che si appoggia anche su una modalità nuova di scrittura. Inoltre, l’inglese si presta maggiormente al mio fine creativo.Anche se, poi,canto anche in portoghese e in italiano, con il quale ho sin d'ora intenzione di interpretrare il mio prossimo lavoro discografico».
Ma, innanzi tutto, Gateway to Life sembra aver tracciato definitivamente il percorso artistico che attende il suo leader: «Senza ombra di dubbio. Questo disco vuole scavare oltre le sonorità della tradizione e guardare avanti, cercando un mood diverso rispetto allo swing e alle atmosfere da crooner che mi hanno contraddistinto in questi anni. Dentro c'è una ricerca armonica caratterizzata da un senso modal-tonale che aleggia in tutti i brani e che diventa evidente nelle due cover. Brani, questi, che presentano una nuovissima veste armonica e, in parte, melodica. Inoltre, anche la ricerca di grooves alternativi dimostra questa mia voglia di tracciare un percorso nuovo. Ecco, in Gateway to Life c'è voglia di raccontare e di raccontarsi».


Gateway to Life (Abeats Records, dicembre 2012)
Giuseppe Delre (voce), con Michael Rosen (sassofoni), Fabrizio Scarafile (sassofoni), Francesco Lomangino (flauto), Mirko Signorile (pianoforte), Vince Abbracciante (fender Rhodes), Ettore Carucci (fender Rhodes), Nando Di Modugno (chitarra), Camillo Pace (contrabbasso), Mauro Gargano (contrabbasso), Fabio Accardi (batteria) e Mimmo Campanale (batteria)

mercoledì 15 luglio 2009

L'anima latina di Mordente

Caetano Veloso, ormai, è un riferimento musicale un po’ abusato. Merito dell’avvenuta internazionalizzazione dell’artista e, soprattutto, di un linguaggio sonoro ampiamente digeribile: negli States e, ovviamente, anche in Europa. Perché la moda e la globalizzazione, da sempre, passano prima da quelle contrade e, succesivamente, da queste parti. Di più: le sonorità e, più in generale, il songbook di uno dei padri del Tropicalismo (con lui Gilberto Gil, Torquato Neto e qualcun altro) posono essere tranquillamente riconvertiti ad un pubblico eterogeneo. Senza avvertire imbarazzo o il pericolo di fallire l’approccio con la platea. E un interprete – un interprete brasiliano che vive in Italia – queste cose le sa. Le sa bene. Le composizioni del cantautore baiano, del resto, erano e rimangono assai stimolanti: anche e soprattutto per un artista sudamericano che si appropria del piacere di omaggiarne il percorso artistico.
Rosa Emília, pure lei baiana ma residente a Venezia, voce dal pedigrée già ben definito e assai apprezzata dagli appassionati del genere di casa nostra, sceglie così un itinerario sicuro, garantito all’origine. E, al secondo appuntamento di Jazz à la Cruz, intinge la propria esibizione in una quindicina di pezzi più o meno conosciuti al grande pubblico. Rivestendoli con versioni sufficientemente fedeli, eppure personalizzate. “O Samba e o Tango”, “Cajuína”, “Sampa”, “Qualquer Coisa”, “Trilhos Urbanos”, “Trem das Cores”, “Eclipse Oculto” e qualche altro titolo saccheggiano qua e là una carriera ormai quarantennale, senza seguire un disegno prestabilito. Né un percorso temporale. Rosa Emília canta quel che le va, puntando ai successi universalmente accreditati. E, generalmente, scegliendo testi gravidi di charme e, talvolta, socialmente robusti (come “Recado”, tratto dall’album Fine Estampa, rivisatazione velosiana di una composizione in lingua spagnola degli anni venti, o come “Haiti”).
«Caetano – spiega Rosa Emília – non ha mai nascosto di cogliere le sfumature culturali e sociali del proprio Paese, disegnandosi un percorso eclettico. Per questo è, in Brasile, tra gli autori più amati. Per questo mi piace riproporlo». In Puglia («qui sembra di essere più vicini alla mia terra: è una questione di colori, è una questione di luce. Sì, questa luce mi ricorda un po’ il Brasile», dice) si fa accompagnare da una formazione indigena (il batterista Accardi, padrone di casa; il contrabbassista Vendola, il chitarrista De Giosa e il pianista Andrioli, rientrato temporaneamente da Bruxelles) che, con ironia e persino un po’ di orgoglio, si è autoribattezzata Caetanear (testualmente, significa “caetanizzare”, termine storicizzato da “Siná”, fortunatissima composizione di Djavan, tradotta anche in inglese dai Manhattan Transfert negli anni ottanta). E, ovviamente, di fronte a quattro jazzisti, gli spartiti oroverde finiscono per impastarsi di jazz. Poco male. Anzi, bene. Del resto, Caetano è personaggio assai duttile, assai attratto dalla contaminazione. Come duttile è la voce di Rosa Emília, che sa enfatizzare i dettagli e giocare sugli accordi, dedicandosi un’interpretazione libera da ogni vincolo di imitazione. Anche quando chiude il concerto, prima del bis, abbandonandosi alle note di un’altra composizione di lingua spagnola, quella “Cucurucucu Paloma” recentemente impiegata (e, dunque rivalutata) da Almodóvar come colonna sonora di una sua pellicola.
A proposito di lingua spagnola. A proposito di donne. E a proposito di Jazz à la Cruz, la rassegna creata dall’Associazione “Mordente” che possiede una breve ramificazione, cioè Jazz à la Vedette (cambia la location e pure la città: da Polignano si passa temporaneamente a Giovinazzo). Appena tre giorni dopo scende in Terra di Bari Eva Cortés, honduregna di nascita, sivigliana di cuore e madrilena di residenza, punto di riferimento di un quartetto che si avvale del contributo del pianista Remi De Cormeille, del contrabbassista aragonese Tonio Miguel e del già citato Fabio Accardi. Esile, garbata e profondamente castigliana nella pronuncia, la ragazza ama la Francia e apre un paio di parentesi sulla canzone francese, ma fondamentalmente presenta il suo secondo lavoro discografico, “Como el Agua Entre los Dedos” (“Come l’Acqua tra le Dita”). Album, questo, dalle sonorità calde: che l’esibizione dal vivo, di gusto dichiaratamente jazzistico (la formazione, del resto, è diversa da quella che ha cooperato in sala d’incisione), tende peraltro a raffreddare. Al di là di tutto, sulla Terrazza della Vedetta, attico che sorveglia il porto, domina il centro storico e sembra quasi abbracciare il mare, Eva cavalca il pop, ma dimostra di conoscere i tempi e le abitudini del jazz, che poi è il suo campo d’azione. Puntando sapientemente sulla modulazione della voce, com’è giusto, e sulla simpatia naturale. E in attesa di lasciare il palcoscenico ad un'altra signora della canzone, l’italianissima Paola Arnesano, padrona del palcoscenico nell’ultima e imminente tappa del cartellone.

Rosa Emília (voce), Nico Andrioli (piano), Francesco De Giosa (chitarra), Giorgio Vendola (contrabbasso) & Fabio Accardi (batteria)
Casello Cavuzzi di Polignano a Mare (BA), Masseria Crocifisso
Jazz à la Cruz
11.07.2009

Eva Cortés (voce), Remi De Cormeille (piano), Tonio Miguel (contrabbasso) & Fabio Accardi (batteria)
Giovinazzo (BA), Terrazza della Vedetta
Jazz à la Vedetta
14.07.2009

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)