giovedì 20 maggio 2010

Sinergia da ascoltare


Al primo ascolto, sembra la continuazione immaginaria (o il completamento) del percorso del progetto Clessidra. E, forse, sotto certi aspetti, lo è. E non solo perchè certe sonorità di quest’ultimo album del Synerjazz Trio ricordano quelle che innervano il disco – ancora recente – ideato da Mirko Signorile. Intendiamoci: Clessidra si è sviluppato attorno alle intuizioni e, quindi, al pianoforte del musicista modugnese, assistito dai contrabbassi di Paolino Dalla Porta e di Giovanni Giuliano, dalla batteria di Fabio Accardi, dalle percussioni di Cesare Pastanella e dall’elettronica gestita da Marco Messina. Rimanendo, di fatto, una raccolta di brani che raccontano il percorso artistico del pianista. Che vive di luci e riflessi propri. E Synerjazz Trio (sì, il titolo attinge dal nome stesso della formazione) nasce dalla stretta collaborazione di Signorile con Giorgio Vendola (contrabbasso) e il cilentano Vincenzo Bardaro (batteria). Finendo, peraltro, con l’unirsi alla precedente fatica della formazione, il fortunatissimo The Magic Circle. Ma questo lavoro è, così come Clessidra, un punto di partenza attraverso due direttrici diverse, ma sempre più spesso confluenti, come il jazz e la musica contemporanea. Che Mirko – vero trait d’union delle due situazioni discografiche - continua ad abbracciare.
Dicevamo del primo ascolto: “Come Ali di Farfalla” e “Alla Luce del Sole”, primo e secondo brano del disco (ma anche “Modern’s Dilemma”, se è per questo) confermano l’apertura musicale che Signorile ha voluto imporre alla propia produzione, conferendole una dimensione un po’ più cosmopolita. Anche se i jazzofili più puri, magari, dissentiranno. Eppure, come accennavamo, Synerjazz Trio è un’esecuzione equamente divisa anche dal punto compositivo. Frutto, cioè, di una concertazione effettiva. Ed è meglio chiarirlo ancora: per rispetto dei compagni d'avventura di Signorile e per dovere di cronaca. Ma anche per non deviare il senso della realtà. Di Vendola, infatti, sono “Gabin”, “The Night Before You”, “Jupiter”, “Incerto” e “Cirano”. E di Bardaro sono altre tre tracce ("There’s Time for Everything”, “Esca” ed “Easy”). Mentre Signorile firma anche “Lilium”. Ma, al di là delle assonanze, delle empatie delle finalità più o meno dichiarate del progetto (a proposito, c’è anche una cover: “A View to a Kill” di John Barry e Duran Duran) questo è un cd che si fa ascoltare e riascoltare. Che lascia un’impronta: senza scivolare nel vortice della banalità. E che, come sottolinea proprio Mirko Signorile, in un certo senso sancisce l’attività del trio. Anche e soprattutto perché The Magic Circle, la precedente esperienza della formazione (2005), è un disco registrato a nome del suo leader.
Il concetto di sinergia, dunque, è saldo: sin da principio. Come è saldo il legame tra i tre autori e l’ottica musicale di ciascuno di loro. Synerjazz Trio (prodotto da Stradivarius, registrato nel duemilaotto, uscito nel febbraio scorso e presentato ufficialmente solo ultimamente, alla Feltrinelli di Bari) è un puzzle di tredici tracce che non diventano il pretesto per improvvisazioni ingombranti, come accade solitamente in ambito jazzistico. Tredici composizioni, cioè, di media lunghezza: scelta che accarezza la volontà di offrire più elementi tematici. Alle quali si associa un’ulteriore traccia dvd, realizzata in bianco e nero: quella di “Modern’s Dilemma”, che poi è l’unico pezzo cantato (e qui quella strofa “muoversi nel mar” si trascina ostinata, ma efficace). E che, in fondo, offre all’intero album quella dimensione gioviale e, chissà, anche goliardica che non appanna affatto il rigore artistico in cui naviga il nuovo viaggio di un gruppo solido, ormai collaudato, sicuramente ispirato.

Synerjazz Trio (Stradivarius, febbraio 2010)
Synerjazz Trio (Mirko Signorile: pianoforte; Giorgio Vendola: contrabbasso; Vincenzo bardaro: batteria)

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

venerdì 7 maggio 2010

Abbracciante, musica per il Brás


Un documentario, un film: ambientato e sviluppato in Brasile, a San Paolo. Anzi, nel Brás, uno dei quartieri più italiani della città. E, certamente, sede del nucleo polignanese più importante al di fuori della Puglia. Un mediometraggio di sessantacinque minuti: pensato, diretto e musicato da pugliesi. Perché è in Puglia che l’idea viene raccolta dalla realtà paulistana. Per poi modellarsi ed evolversi al di là dell’oceano. La pellicola verrà presentata il quattordici maggio, in anteprima, proprio a San Paolo, all´interno dell´Edifício Itália (il primo grattacielo-simbolo della città), a cura dell´Istituto Italiano di Cultura di San Paulo. E, probabilmente a giugno, proprio a Polignano. Si chiama Le Mamme di San Vito ed è una storia di solidarietà sviluppatasi all’interno della comunità originaria di Polignano a Mare.
Solidarietà e immigrazione: ma anche radicamento nel territorio. E’ una storia di italiani del Brasile. E di figli di quegli italiani sbarcati in Sudamerica all’alba del Novecento. Che, con la vendita di prodotti della cucina tradizionale della Terra di Puglia, ma anche italiana in genere, aiuta da anni migliaia di bambini, di ogni provenienza e religione. Accade per due mesi all’anno, in ricorrenza della Festa di San Vito, che poi è il patrono di Polignano. Le Mamme di San Vito (la più giovane ha settantacinque anni, la più anziana novantacinque) preparano per beneficenza piatti tipici rimasti intatti, nei sapori e nella produzione. La comunità, con gli introiti della festa, ha fondato la Creche de São Vito (l’Asilo di San Vito), ubicato proprio nel quartiere Brás, che ospita centoventi bambini all’anno.
Questo racconta Gianni Torres, quarantatre anni, polignanese e animatore di diversi momenti artistico-culturali in uno degli angoli più intriganti del sudest barese (uno per tutti, la ricca e seguitissima rassegna Volare, dedicata a Modugno, nell’estate del duemilaotto). Regista, sceneggiatore, montatore e produttore del documentario, girato nel maggio del 2009, Torres non si avvale, peraltro, di nessun attore professionista. Tutto, cioè, nasce in strada e i protagonisti sono quelli della realtà. E pugliese (di Ostuni) è anche l’autore delle colonne sonore del mediometraggio: Vince Abbracciante, fisarmonicista ventisettenne di solida ascesa, al termine della proiezione del documentario nell’ Edifício Itália, sarà peraltro protagonista di un momento live. «Il pezzo principale – dice - si chiama “Ninar”, che in portoghese significa ninna nanna. La prima volta che ho visto il film, con l’audio originale, mi sono sentito pervaso da un senso di amore per queste persone e di stupore per quanto hanno saputo realizzare. Solo l'amore puro, del resto, può dare la forza per continuare questo progetto».
Spesso impegnato tra il jazz e il tango, Vince Abbracciante è musicista che prova ad allargare i suoi orizzonti, affinando anche lo studio dell’organo Hammond e della farfisa e, soprattutto, a cercare connessioni tra le sonorità più vicine al suo strumento, che rimane sempre e comunque la fisarmonica, e la musica classica (ricordiamo un progetto con il quartetto d’archi capitanato da Ida Ninni) o le tonalità rock (il gruppo dei Tàngheri, di cui ha fatto parte con Davide Penta, Antonio Di Lorenzo, Rocco Capri Chiumarulo prima e Beppe Delre poi, ha stretto salda collaborazione con il chitarrista Marc Ribot, per fare un esempio). Senza dribblare, peraltro, altre strade, come la rivisitazione di alcune composizioni da film (è un progetto dei Bumps, ovvero i vecchi Tàngheri, che si sono affidati ad una voce nuova, la jazzista e bossanovista barese Francesca Leone). E, ovviamente, senza perdere la speranza di realizzare l’antica idea di un’esibizione in duo con Richard Galliano: operazione quasi conclusa e poi sfumata pochi mesi addietro. Sfumata, ma niente affatto accantonata. Qualcosa potrebbe muoversi. E qualcuno (Galliano, appunto) ha confermato la disponibilità. Basterà saper attendere.

Le Mamme di San Vito (documentario, Italia/Brasile, maggio 2009)
Soggetto regia e produzione di Gianni Torres
Colonna sonora di Vince Abbracciante

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)


mercoledì 5 maggio 2010

I sette colori di Fabio Accardi


Nessuna fretta. Il disco esce quando può. Quando certe coordinate discografiche si raccordano. Quando la casualità e l’ostinazione determinano il momento. Succede sempre più spesso: anche perché il mercato è saturo e le offerte superano le richieste. Ma, intanto, il lavoro c’è e non fugge: pronto alla pubblicazione. Definitiva. E’ la storia di Arcoiris, primo album a proprio nome di Fabio Accardi, batterista assai dinamico della scena jazzistica di Puglia. Un album pronto da tempo (diciamo un paio di anni e anche qualcosa in più), ma commercializzato solo nell’ultimo febbraio dalla Mordente Record, etichetta che si aggrappa all’omonima associazione culturale di cui proprio il musicista barese è ispiratore, mente, braccio e cardine. Un disco, dunque, fatto in casa. Ma assolutamente lontano dal concetto di scontata autoproduzione: sia per la qualità della confezione (un dettaglio che fa spessore, in fondo) che per la freschezza e la leggerezza del prodotto musicale, una raccolta di dieci composizioni tutte scritte e arrangiate da Accardi e incise tra il febbraio e l’ottobre del 2007.
Le tracce rivelano una bella gamma di colori, puntando sulla melodia, su un jazz moderno, sulla collaborazione di un paio di nomi interessanti di questa terra (Mauro Gargano, contrabbassista ormai pienamente assorbito dai palcoscenici francesi e il pianista brindisino Nicola Andrioli, da tempo residente a Bruxelles) e di altri sei artisti (Sandro Zerafa alla chitarra, Jocelyn Mienniel al flauto e al sax soprano, Stéphan Caracci al vibrafono, Rémy De Cormeille al piano, Crystophe Panzani e Robin Verheien ai sassofoni) reclutati oltr’Alpe, dove Fabio Accardi ha vissuto e operato per alcuni anni, prima di tornare in riva all’Adriatico. “Cotanta Speme”, “A/R”, Chanson por un Film à Faire”, “Chissà, Forse un Giorno…, “Tesi al Cambio”, Settembre”, “Missed Departure” e “Iles Lontaines” sono brani che si ascoltano volentieri, ben costruiti. E che si completano con le sonorità più calde di “El Gato” e “As Vezes”, titoli che tradiscono l’altra passione di Accardi, quella per i ritmi che arrivano dal Sudamerica (del resto, l’interscambio artistico coltivato nel tempo con Rosália De Souza, Barbara Casini e Rosa Emília dice parecchio).
«Il progetto – rivela il trentasettenne batterista barese - è una risposta ad una mia urgenza espressiva. Ho pensato di esprimere il mio immaginario sonoro offrendo forma alle sensazioni ed alle emozioni venute fuori dalle esperienze vissute in questi anni, a contatto con diversi protagonisti. Arcoiris, poi, significa arcobaleno: un sostantivo che descrive perfettamente le infinite tonalità-sfumature delle sensazioni o delle emozioni, talora contrastanti, che emergono da incontri ed esperienze. Le sonorità che caratterizzano il disco, cioè, finiscono per diventare la colonna sonora di quelle situazioni». Arcoiris, una raccolta e una sintesi. «Sì. Di mondi musicali distanti tra loro, ma forse neanche tanto. Ovviamente, filtrati dalla mia immaginazione. Mondi che hanno contribuito a forgiare il mio universo sonoro. Primo fra tutti, quello di Pat Metheny, fonte preziosa d'ispirazione da cui ho attinto linfa vitale e attraverso il quale ho scoperto la musica brasiliana di Milton Nascmento, di Tom Jobim e di Egberto Gismonti, il lirismo assoluto e il profondo senso del blues di Ornette Coleman, oppure l'infinito romanticismo della musica di Bill Evans, il tango di Piazzolla e Gardel, il soul di Marvin Gaye e Stevie Wonder, il rock dei Led Zeppelin e dei Deep Purple, il pop di Paul McCartney, Bowie, Joe Jackson e di Sting. Senza dimenticare Ravel e Strawinsky e le colonne sonore di Bacharach, Legrand, Morricone ed Hermann. La gamma delle fonti di ispirazione, peraltro, è assai variegata, come quella dei colori dell'iride». L’arcobaleno e i suoi sette colori. Arcoiris e la sua musica scritta per sette musicisti. «Esatto: per sette musicisti, sette strumenti, sette timbri differenti. Sette colori che vibrano e che girano vorticosamente insieme, alla ricerca di una sonorità cristallina». Chiusa per due anni e qualcosa nel circo delle intenzioni. E, adesso, accessibile a tutti. Un disco, dicevamo, esce quando può: l’importante, però, è che il messaggio arrivi, prima o poi.

Arcoiris (Mordente Records, febbraio 2010)
Fabio Accardi (batteria), Mauro Gargano (contrabbaso), Sandro Zerafa (chitarra), Jocely Mienniel (flauto e sax soprano), Stéphan Caracci (vibrafono), Nicola Andrioli (pianoforte), Rémy De Cormeille (pianoforte), Chrystophe Panzani (sax soprano e sax tenore), Robin Verheien (sax soprano)

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)