giovedì 10 aprile 2003

Tom, quel fascino immortale

Lecce, ultimo chilometro. Il viaggio europeo del Quarteto Jobim Morelembaum sfuma nel Salento, sotto l’etichetta di Jazle 2003, affermato contenitore di jazz e aromi latini miscelati nella cornice intima del Teatro “Paisiello”. L’ultima pièce è raffinata e discreta come l’approccio al palcoscenico e il fascino di Tom Jobim: si snoda lieve, composta. Quasi non volesse disturbare. E il fascino di Tom trasuda prepotente: da note e spartiti di settantacinque minuti asciutti, da un tributo che lo accompagna e che lo fotografa accanto ai suoi successi, dal timbro vocale di Paulo e Daniel. Di Tom, Paulo è il figlio chitarrista, semplice e pulito, dosato tra voce e chitarra. Daniel, invece, di Tom è il nipote pianista, puntuale e coraggioso: perché accettare il rischio di un confronto è già una sfida ingrata. Eppure, sia chiaro, l’onore familiare rimane intatto: sul palco sgorga bossa pura, fedele alla linea, dichiaratamente rispettosa dell’impronta. Addirittura dogmatica: senza eccezioni pericolose, senza evoluzioni azzardate. Di più, senza arrangiamenti eccessivi. Cioè, bossa genuina: quella già ascoltata direttamente dal vinile. Sì, Tom avrebbe gradito.
Il Quarteto Jobim Morelembaum, in realtà, è una formazione a cinque punte. C’è Paula Morelembau, la voce ufficiale di un progetto partito nel 1995, e c’è soprattutto Jacques Morelembaum, un microcosmo a parte. Ma c’è pure Feijão, batterista senza orpelli, appositamente reclutato per la tournée italiana. Si parte con “Wave”, un classico: Jacques si rivela sùbito quel qualcosa in più. Naturale, vellutato, unico solista autorizzato ad escursioni peraltro mai invadenti. Il suo violoncello, spesso, si trasforma in basso: con profitto immutato. Paula compare in seconda battuta: ecco “Ela E’ Carioca” e poi “Outra Vez”. L’impressione, magari, è che viaggi con una velocità d’esecuzione diversa da quella del resto del gruppo, ma più tardi sembra adeguarsi. Anche se l’impressione, talvolta, torna ad insinuarsi. Nessuno è protagonista assoluto e ciascuno completa i compagni di palco, senza scavalcarli. Segno chiarissimo di un affiatamento totale, di uno spettacolo rodato, ma anche essenziale. Che spazia verso brani meno sfruttati per poi concedersi una parentesi. Anzi, due.
Il tributo dentro il tributo è costruito espressivamente per Dorival Caymmi (“Saudade da Bahia”, “Marina Morena”, “Samba da Minha Terra”) e, sùbito dopo, per Baden Powell e Vinícius de Moraes (“Berimbau”). Quindi, ancora Tom Jobim: “Agua de Beber”, “Desafinado”, “Aguas de Março”. La colonna sonora del bis, infine, è scontata: “Chega de Saudade”, “Garota de Ipanema”, “Samba do Avião”. «L’Italia è calorosa, sembra il Brasile»: Paulo Jobim mastica poche frasi, in bilico tra due lingue. Ma l’ultima tappa del viaggio, velocemente, sta evaporando. Dispensando, però, il profumo intenso delle note di un tempo che indugia. «La bossa nova è ancora dentro la testa della gente e non può più uscirne. Anche se il mondo cambia». Paulo, figlio di Tom, custodisce una certezza.

Quarteto Jobim Morelembaum (Paulo Jobim: voce e chitarra; Daniel Jobim: voce e pianoforte; Jacques Morelembaum: violoncello; Paula Morelembaum: voce; Feijão: batteria)
Lecce, Teatro Paisiello
Jazle 2003