lunedì 21 giugno 2010

La vita nuova di Vincenzo Deluci


Sei anni duri (e inattesi) non si cancellano. Né si dimenticano. Ma il tempo, talvolta, non passa invano. E, se non restituisce tutto, almeno sa alleviare la sofferenza pura, le difficoltà di ogni giorno, il buio di un tunnel. Premiando il coraggio di vivere. Il coraggio di sperare: malgrado tutto. E la voglia di tornare in trincea: con la musica, nella musica. Per la musica. La voglia di esserci. Di sentirsi parte del sistema. O, più semplicemente, parte della quotidianità. Propria e altrui. Quella quotidianità che ha scolpito i giorni migliori. Quando tutto sembrava facile. Quanto tutto procedeva come doveva. Quando la musica, appunto, riempiva le ore. Tutte le ore della settimana. Quando gli spartiti erano causa ed effetto, esigenza e diversivo, passione e professione. Mistero e certezza. Sostentamento e ambizione.
Vincenzo Deluci suonava. Spesso, molto spesso. E bene. Parola di chi lo frequentava. Di chi lo conosceva. Di chi si avvicinava al suo bop duro, alle sue tonalità suggestive. Parola di spettatori attenti, di appassionati del jazz, di colleghi importanti, di critici consacrati. Componeva (anche il primo disco a proprio nome, interamente originale: La Rana dalla Bocca Larga, lavoro leggero e profondo, frizzante e intenso, delicato e itinerante) e suonava: la tromba e il flicorno. Qui e là, per le rotte di Puglia. Affacciandosi sistematicamente oltre il confine regionale. Preparando l’ingresso definitivo nel circuito nazionale: quello spazio che diluisce le agitazioni della sopravvivenza e che avvicina le gratificazioni economiche. Ma non solo quelle economiche. In attesa di un tour, davvero imminente. E di una conferma: la partecipazione, in Spagna e in Germania, a due festival di spessore. Vincenzo suonava. E pianificava: sogni e futuro. Strategie ed alleanze artistiche. Poi, lo schianto: la strada che svaniva, l’auto che volava nel fossato. Tornava da Maglie, dopo un concerto nel jazz club gestito artisticamente da Maurizio Quarta. E cercava di tornare a casa, a Fasano: era la notte del 23 ottobre del 2004.
Vincenzo si risvegliava a Brindisi, nel nosocomio del Perrino. Dopo molti giorni virtuali. Più tardi, si trasferiva in strutture meglio attrezzate. Ma la funzione delle gambe era persa. E anche quella degli arti superiori. Tetraplegico: si dice così. L’impatto con la realtà diventava violento: forse, ancora di più di quello accusato sulla superstrada. La vita cambiava. Radicalmente. E cambiavano le abitudini. Cambiava tutto. La tromba rimaneva lì, in un angolo: eppure, sempre al centro dei pensieri, nella testa. Ma senza una mano che la guidasse. La musica, a quel punto, sembrava lontana: l’ultimo dei problemi. Con una carrozzina comandata elettricamente, le priorità sono altre. Psicologicamente, però, il ragazzo resisteva, reagiva. Anche se, a trent’anni, il mondo sembrava essersi rivoltato contro. Da un momento all’altro. La famiglia, poi, gli rimaneva vicina. E anche gli amici di un tempo. Iniziava, così, la rincorsa alla normalità. La normalità che si chiama poter pranzare, bere, leggere. E studiare, magari. Vivere, ecco. Con il tempo, Vincenzo si adattava alla novità. Pensando in fretta di ricominciare. A comporre, innanzi tutto: sfruttando i progressi della tecnica e i programmi computerizzati. Buoni per rivalutare intuizioni, talento, capacità. E, infine, a suonare. La tromba. In pubblico.
Tutto vero, questa è storia. E’ la storia di Vincenzo Deluci. Ventuno giugno duemiladieci, quasi sei anni dopo: il palcoscenico è quello della Grave delle grotte di Castellana: scenario unico, senza tempo. E Vincenzo è lì, con un guanto e la sua tromba. Che poi è un trombone adattato: la coulisse sostituisce i tasti. Ma è lì: con la sua tecnica e tutta la sua vita. Davanti, c’è il suo mondo. E anche VianDante, Paradiso - Inferno A/R è un progetto suo. Tutto suo. Un progetto di note e parole. Una suite di quaranta minuti e una composizione conclusiva, innervate di emozioni e intervallate da quasi due minuti di applausi. Continui e convinti. Un progetto pregno di certezze, più che di speranze. Perché, in fondo, è di certezza che Vincenzo ha vissuto, sin qui. La certezza di tornare, un giorno, a suonare. Ad esibirsi. Combattendo a suo modo le asperità del destino. Eccolo, Vincenzo De Luci: con le sue idee, il suo sound creativo. E il suo pubblico. I versi fuori campo, invece, sono quelle registrati da Peppe Servillo, portavoce storico degli Avion Travel, artista raffinato ed eclettico. Le pagine, infine, arrivano dalla Divina Commedia dantesca e avvolgono le composizioni di Vincenzo, preparate e mixate con l’apporto dell’elettronica.
Parole e musica procedono assieme, vibranti. Eteree. Tra stalattiti e stalagmiti, sul palco che sembra sospeso al centro della terra, nella migliore location possibile, VianDante è il viaggio di Vincenzo. Verso gli abissi. E, sùbito dopo, verso la luce. Partendo dal canto terzo dell’Inferno, passando per il Purgatorio. Destinazione Paradiso. Tra note prima oscure, viscerali. E, poi, trasparenti, vaporose. VianDante, diretto da Giuliano Di Cesare, confezionato da ZonaEffe, arrichito dal supporto tecnico di Marcello Di Pace e Vincent Lounguemare, realizzato con il patrocinio delle Grotte e dell’amministrazione comunale di Castellana, tocca nell’intimo e lascia qualcosa. Forse, per la storia che galleggia dietro. Forse, per la forza della musica, che rende tutto più semplice. Anche se il braccio che sorregge la tromba è quello sinistro: l’unico che si permette ancora qualche movimento. Anzi, anche per questo particolare, forse. Ma, sicuramente, perché VianDante è la sintesi di un ritorno in superficie, di una battaglia ardita, di una lotta ostinata. E simbolo di risveglio. E perché, in fondo, è una vittoria. La vittoria di Vincenzo. Godiamocela tutti.

Vincenzo Deluci (tromba ed elettronica) in "VianDante Paradiso-Inferno A/R"
voce narrante fuori campo di Peppe Servillo
Castellana Grotte (BA),
Grave delle Grotte