sabato 5 luglio 2008

Le Americhe di Bari

Il vento caldo che bussa dal mare. La piazza gravida di voci incontrollate, biciclette e intemperanze urbane. Il palco incombente, ingombrante. I chioschi generosi della birra preferita dal popolo barese: quello che partecipa alle situazioni live e quello che vi struscia accanto. Tutto fa estate. E tutto fa jazz. E’ l’atmosfera caleidoscopica di “Jazz in Bari” edizione duemilaotto, un concentrato (ci esponiamo subito: artisticamente riuscito, perché frutto legittimo di scelte intelligenti, ispirate) di proposte e personaggi che ruotano attorno ad un’idea. L’idea di Roberto Ottaviano, coordinatore e responsabile musicale della kermesse più titolata tra quelle curate dall’associazione interculturale Abusuan. L’idea di associare, in un’unica soluzione, artisti abituati a governare platee internazionali e musicisti locali. Vicendevolmente attratti dal confronto e dalla necessità di esprimere la propria progettualità, come direbbe chi ama parlare bene, ma anche dalla solidità del cartellone. Perché è la programmazione, ricordiamolo ancora, che produce qualità. Ed è la qualità che richiama la nobiltà.
Progettualità, peraltro, senza limitazioni per l’estro e la sensibilità di ciascuno, senza vincoli di commistione artistica e anche di sperimentazione. Come piace ai musicofili di ultima generazione. Tutti religiosamente allineati, però, al concetto di buona musica. E, nell’occasione, aggrappati ad un filo conduttore che prevede ramificazioni infinite: l’America. Anzi, le Americhe. Tutte le Americhe: quella dell’estremo nord e quella del meridione, quella latina e quella di cultura anglosassone. «Looking for Americas», come sottolinea orgogliosamente Ottaviano, è cioè un profilo itinerante di una rassegna (la quarta del cammino) dichiaratamente impegnata a «contemplare diversi stilli musicali, capaci al contempo di mantenere saldo il legame con la tradizione, provando tuttavia a elaborare la creatività in tempo reale». E che, dal primo al quattro luglio, ha distribuito tra piazza Mercantile (sede principale) e la Terrazza del Fortino di Sant’Antonio (sede sfortunata) tre momenti dal vivo differenti, ogni giorno. In attesa dell’ultimo appuntamento (l’unico a pagamento), quello del sedici del mese, all’Arena della Vittoria, location prescelta per le acrobazie vocali del newyorkese Bobby McFerrin.
Tanta musica, dunque. Ma anche un assortimento oculato dei concerti, volutamente indirizzati a premiare una varietà sufficientemente corposa di orientamenti sonori. Come testimoniano, ad esempio, l’esplosività molto blues e il vivace impatto sonoro degli Hazmat Modine (due armoniche, una voce ribelle, una tuba, una chitarra e un basso rockettari, una batteria che spinge e sfonda, due fiati), oppure le fantasie free dell’Italian Instabile Orchestra, generata esattamente diciotto anni addietro dal Noci Jazz Festival e tornata a riunirsi per rileggere alcuni classici, ma anche per ricordare Mario Schiano, effettivo dell’ensemble recentemente scomparso («e questa – assicura Ottaviano – è un’operazione eroica, perché è eroico raccogliere musicisti tradizionalmente attratti dalla rilettura critica che, tuttavia, mantengono un rapporto intenso con l’eredità afroamericana: e, forse, è un motivo per il quale, dalle nostre parti, si esibiscono solo saltuariamente»). Orientamenti sonori, altrimenti, molto vicini al pensiero musicale di Django Reinhardt (è il caso del live del trio Nicolescu-Escoudé-Marcoz, animato da un tessuto armonico raffinato e sostanzioso, come dal rigore della tecnica interpretativa), oppure all’anarchia delle note sposata dalla vibrante e ambiziosa Cosmic Band di Gianluca Putrella. Oppure, ancora, pronti ad esplorare un pianismo raffinato, dove vivacità e improvvisazione sono ingredienti irrinunciabili, come racconta il trio formato da Kenny Barron, dal contrabbassista Hiroshi Kitagawa e dal batterista Francisco Mela (a proposito: meraviglioso per pulizia, vitalità e quantità di sensazioni regalate senza picchiare sui piatti e sui tamburi). E, attorno, ecco anche le percussioni canadesi di Merlin Ettore e Joannie Label; l’incontro tra i sassofoni del torinese Emanuele Cisi e un trio profondamente pugliese (Maurizio Quintavalle al contrabbasso, Mirko Signorile al piano, Mimmo Campanale alla batteria) per la presentazione di «It’s Time to Make a Change», lavoro discografico di imminente commercializzazione; la performance (tecnicamente ineccepibile, ma forse un po’ fredda: è un’opinione) del Jed Levy Quartet, che presenta un repertorio originale ispirato alle sensazioni e alle memorie tratte da un percorso consumato in varie città d’Italia, e infine l’omaggio a Don Cherry realizzato dalla band di Karl Berger (al piano e al vibrafono), dove brilla la voce delicata di Ingrid Sertso.
«Looking For Americas», allora, è un po’ la riscoperta delle Americhe, inquadrata da diverse direzioni musicali. Le Americhe guardate con gli occhi di è convinto che il già ascoltato può rigenerarsi, ridistribuirsi, destrutturarsi e ricomporsi, con venature armoniche insospettate o insospettabili. Con sapori persino speziati. Con umori (e umoralità?) diverse. Le Americhe solcate da linee immaginarie, le Americhe di suoni e di storie: che, fortunatamente per noi, posso gravitare su una piazza, nel mezzo di un’estate calda, di un caldo nitidamente pugliese. Tra una birra e il vociare sgraziato dei giovanissimi della città vecchia, irrefrenabili e irrefrenati. Oppure al Fortino, nel punto più alto delle vecchie mura di Bari, dove lo spazio dell’after hour scompare quasi all’improvviso e dove il ciclo dei live affidati al trio di Guido Di Leone viene privato del suo orario ufficiale di avvio (la mezz’ora alla mezzanotte), anticipato (alle ventidue e quindici, come qualsiasi altro concerto in qualsiasi città, esattamente contemporaneo ai live programmati in piazza Mercantile) e, perciò, delegittimato. Non da chi l’after hour l’ha ideato, ma da chi ha affiancato la manifestazione con il proprio patrocinio e il proprio contributo economico, cioè l’amministrazione comunale. E non per scarsa sensibilità, ma per ragioni di queta sopravvivenza: con i residenti e con le forze dell’ordine. Polizia municipale compresa: che, si dice, avrebbe multato “Bari in Jazz” per l’attardarsi delle note, già nella prima serata. Colpendo, dunque, la stessa autorità comunale, a cui fa capo. Quell’autorità comunale titolare della co-produzione della quattrogiorni (il cui programma era noto da diverse settimane) e che, pertanto, avrebbe dovuto garantirne l’iter burocratico. In una città che, come puntualizza il direttore artistico della rassegna, «non solo ospita, ma produce jazz». Cose mai viste. E mai sentite.

Bari in Jazz 2008
Bari, piazza Mercantile e Terrazza del Fortino di Sant’Antonio
dal 01.07.08 al 04.07.08

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)