L’impegno sociale, le battaglie, la quotidianità dei cafoni, la questione meridionale, le terre amare, il destino dei dimenticati, la schiavitù contadina. Il poeta neorealista e il sindaco di provincia: Rocco Scotellaro, ieri. I versi e la figura, il pensiero e il messaggio, umano, ancor prima che politico: Rocco Scotellaro, oggi. Tra gli spartiti appassionati dell’Antonio Dambrosio Ensemble e l’omaggio – a cinquantatre anni esatti dalla scomparsa dello scrittore di Tricarico – di Antiphonae Jazz 2006. Tra le note di un progetto ormai rodato (perché inaugurato in estate) e il respiro ampio di un concerto scandito da rabbie antiche e dolori inevasi. Quello che chiude la serie, rimadando all’anno che verrà. Il quinto e ultimo di una rassegna sopravvisuta anche (e, a questo punto, diremmo soprattutto) per chiarire un concetto: non è necessario rincorrere, sempre e comunque, nomi e cognomi pregiati per sostenere il cartellone. Perché costruire una programmazione convincente con i musicisti di questo angolo d’Italia si può. Puntando sulle idee, innanzi tutto. E incoraggiandole. Anche se qualcuno non se n’è accorto. O ha finto di farlo. Rocco Scotellaro e il suo bagaglio di testimonianze. Alcune delle quali ripercorse dalle voci narranti di Francesco Tammacco e Matilde Bonaccia. E, dietro, un quartetto d’archi (Giuseppe e Vito Amatulli, Domenico Mastro e Vanessa Castellano, ovvero la musica nobile), due fiati (Achille Succi e Nicola Piovani, puntuali e asciutti), un contrabbasso e un piano (Camillo Pace più Pasquale Mega, cioè l’anima jazzistica), un polistrumentista (Pino Basile, cioè la faccia popolare della formazione) e un elemento di raccordo (Antonio Dambrosio alla batteria e alla direzione, oltre che alla composizione). L’ottavo percorso di «Antiphonae», dunque, si esaurisce così, fortificando l’intuizione che l’ha innervato sin dal primo momento: quella di viaggiare attorno al jazz, corteggiandolo e perforandolo, lambendolo e strisciandolo. Contaminandolo e arricchendolo. Senza mai abbandonarlo definitivamente. Si esaurisce, sì, ma lasciando un sapore buono. Con un live sempre pronto ad allargarsi verso umori diversi, sempre pronto ad aprirsi a sonorità persino distanti tra loro. E altrettanto abile a riguadagnare i binari jazzistici, proprio quando sembrano essersi dissolti (il ruolo specifico di Mega e Pace, del resto, è proprio quello). Concerto sempre fluido, tuttavia: e non inganni la presenza di due voci recitanti o la matrice poetica della serata. Fluido e vario, mai stantio o imbavagliato. Spesso di sapore forte, come la terra di Lucania. E di collocazione (e, magari, anche lettura) non semplicissima, è vero: perché ora un po’ austero e ora immediato, perché talvolta dolce e talvolta spigoloso. E, in certi passaggi, persino nervoso, ma sempre lucido, digeribile. E, ci è parso di capire, anche intriso di cuore: particolare che non dispiace, nemmeno ai meno romantici. Come non dispiace l’ormai imminente pubblicazione di un cd («Sempre Nuova è l’Alba») che insegue i passi di un progetto di parole e musiche disposte a combinarsi ordinatamente, diligentemente. Ma con il vigore proprio delle genti lucane, quelle delle pagine di Scotellaro, scomparso troppo presto. Con il vigore e la robustezza della «turba dei pezzenti, quelli che strappano ai padroni». Quella gente di quella patria, dove l’erba trema.
Antonio Dambrosio Ensemble (Antonio Dambrosio: batteria e percussioni; Pasquale Mega: pianoforte; Achille Succi: clarinetto e sax alto; Nicola Pisani : sax alto; Camillo Pace: contrabbasso; Giuseppe Amatulli: violino; Vanessa Castellano: violino; Domenico Mastro: viola; Vito Amatulli: violoncello; Pino Basile: tamburi a cornice e cupa cupa)
Locorotondo (BA), Auditorium Comunale
Antiphonae Jazz 2006
(pubblicato sul sito www.levignepiene.com)