
Dunque: Joe Barbieri è bravo. E lo dimostra anche sul palco. E' un cantautore elegante, dai toni confidenziali. Chitarra e voce, da soli, fanno persino charme. Del suo mondo, quella della canzone, conosce i tempi e le dinamiche. Ma le dinamiche, i tempi e i colori del jazz sono diversi. Il progetto, fondamentalmente, è suo. E lo modella attorno alle proprie esigenze. Finendo, così, per costringere in un angolo la tromba di Aquino: che, invece, dovrebbe essere il punto nevralgico dell'esibizione (e chi conosce la storia di Chet, non si chiederà neppure il perchè). Quella stessa tromba che, infatti, lievita appena Barbieri si assenta per pochi minuti. Il live, tecnicamente parlando, è ben suonato: ma rimane piatto, un po' floscio. E non decolla mai del tutto. Dall'altra parte, il reading di De Caro, che saccheggia alcune pagine scritte dallo stesso Baker, dopo aver riportato un intervento di Paolo Fresu, requisisce gran parte dello spazio, lasciando al trio molto accompagnamento e qualche angolo di luce (e ci può persino stare, considerate le premesse). Musicalmente parlando, da diverse angolazioni, questo concerto sembra più convincente del precedente. Manca, però, proprio la tromba: che la breath-guitar (il cui suono ricorda vagamente quello dello strumento a fiato) di Onorato non può surrogare impunemente. Malgrado lo stesso progetto nasca dichiaratamente con questi ingredienti: perchè, racconta lo stesso De Caro, nessun trombettista ha voluto azzardare il paragone con Chet. Difficile, allora, capacitarsi di questa irrefrenabile impellenza di tributare Baker: pur senza possedere i requisiti essenziali.
Due esempi tra le decine che ci vengono in mente. Gli ultimi, in ordine cronologico, a queste latitudini. Ma nessun protocollo d'accusa. Soltanto, un elemento di riflessione in più. Perchè, in tempi in cui gli inviti musicali promettono tanto e, di contro, si perdono nel gran mare della categoria dei riempitivi, sarebbe bene cominciare a interrogarsi. E a selezionare. Non è, del resto, la capillare fruibilità della musica che potrà salvare il movimento musicale: i più distratti passano, mordono e fuggono. Senza lasciare traccia. E senza che la musica lasci qualcosa a loro. E non è l'omogeneizzazione culturale la risposta alla crisi: quella, anzi, arreca solo danni. E non solo alla musica.