sabato 16 gennaio 2010

Capossela e la notte del fuoco

Soloshow è il solito caleidoscopio di colori, suoni, stravaganze ed evoluzioni di Vinicio Capossela. Uno che, se non ha scelto consapevolmente di stupire, prova testardamente ad uscire dal tracciato tradizionale del cantautorato di casa nostra. Diventando, sempre più, oggetto di desiderio e di ammirazione della massa giovane. Quella che ama ballare, spingere e dimenarsi, più che soffermarsi sulle parole, sui senso e sui messaggi. Soloshow è uno spattacolo aperto, dove le note dei fiati si accavallano a giocolieri di passaggio, ammaestratori di effetti sonori e momenti di poesia urbana. Dove il capobanda si muove con agio e mestiere, freneticamente e disordinatamente, come un Houdini dei giorni nostri: cambiando scene e postura, copricapo e maschere, atteggiamenti e modulazione della voce. Giocando a distribuirsi, a catalizzare l’attenzione, a scherzare con se stesso e con la sua natura, con la propria musica e con la propria angolazione sul mondo che gli scorre accanto. E, ovviamente, con la gente che si muove sotto il palco. Proprio mentre la fòcara piazzata al centro della piazza vasta, che è poi l’anello di congiunzione tra l’artista e il suo popolo, ma anche e soprattutto la causa dell’effetto, vomita i suoi rami incandescenti.
Niente di nuovo, sia detto sùbito. Perché i live di Capossela possiedono caratteristiche ormai antiche. E quello di Novoli, in largo Tito Schipa, in occasione della festa (sentitissima, da queste parti, ancorchè altamente ricettiva) di Sant’Antonio Abate non differisce dagli altri proposti in giro per la penisola. Certo, ad un certo punto l’ambientazione si rende persino difficile: il fiume di fedeli della movida en plein air continua ad ampliarsi, la passione sgomita, gli spazi per coesistere si riducono, il concerto non parte prima delle ventitre e il vento riversa sugli intervenuti fumo e lapilli. Ma una festa è sempre una festa e lo spettacolo deve proseguire. Anzi, avviarsi. Con quelle atmosfere un po’ naif e un po’ bohémienne, ironiche e pungenti, pacchiane e delicate, improbabili e trasgressive, moderne e, talvolta, un po’ vintage. "Il Minotauro" è il primo passo: quello che la folla attende e chiede. Poi, Capossela saccheggia le più recenti produzioni (dall ‘album Ovunque Proteggi, per intenderci), ma attinge pure da Canzoni a Manovella (“Marajah”, per esempio), da All’Una e Trentacinque Circa (“Che Cos’è l’Amor”), passando per “Contrada Chiavicone”, “L’Accolita dei Rancorosi” e “Al Veglione”, tributo ad un lavoro (Il Ballo di San Vito) che - nelle pieghe, di per sé - è un omaggio a questa terra. Omaggio che si protrae, peraltro, con una rivisitazione di un pezzo popolare salentino assai conosciuto (“Fimmine Fimmine”). Dal palco, i suoni sincopati (solo un effetto fonico?) si integrano in quell’alone di festa che galleggia e passano inosservati. Non passa però inosservata, nella band di Vinicio, la presenza di due prodotti del Salento che suona, il fisarmonicista Rocco Nigro e il trombettista Cesare Dell’Anna.
Alla fine sono due ore e anche qualcosa di più di sberleffi, scene, coriandoli, vecchi successi, ardori contemporanei e miscele caotiche di musica e teatro improvvisato. Ma, anche se il concerto si esaurisce, la gente continua a stagnare nella piazza, sino all’alba annaffiata dal vino. E poi c’è la fòcara, che continua a fumare e bruciare. Il vertice della piramide è crollato, ma la pira resiste. Servirà tempo, per consumarla del tutto. E, allora, che la festa continui pure. Anche senza Capossela.

Vinicio Capossela in “Soloshow”
Novoli (LE), piazza Tito Schipa
Festa di Sant’Antonio Abate

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)