sabato 2 gennaio 2010

La nuova alba di Bregović

Alcool. Non per dimenticare, ma per essere ricordati. E per ritrovare il (grande) pubblico delle piazze o dei teatri. D’Italia, ma non solo. Anzi. Goran Bregović, peraltro, continua a solcare le rotte del mondo. Da Buenos Aires a San Pietroburgo, da Tel Aviv a Beirut, come sottolinea con un narcisismo malamente nascosto. Passando, ovviamente, per le nostre contrade: abbastanza spesso. La voce di Bosnia, del resto, è nuovamente in tournée. Quella stessa tournée che, dice, non gli ha premesso di festeggiare l’ultima notte del duemilanove e l’alba dell’anno appena entrato ad Otranto, crocevia ormai stereotipato dei flussi migratori che arrivano dall’est e dall’oriente più prossimo. Dove, però, il musicista slavo è ugualmente approdato, con due giorni di ritardo, per offrire robustezza all’ormai tradizionale cartellone dell’Alba dei Popoli, che ha accompagnato le serate accalcatesi tra la fine di dicembre e il principio di gennaio ai margini del centro storico idruntino.
Tra Goran Bregović e Otranto, poi, esiste un legame consolidato nel tempo, affettivamente saldo: logico, dunque, che il prodotto più esportato di Sarajevo dovesse, prima o poi, ripresentarsi a Porta Terra con la sua Wedding & Funeral Orchestra (ridotta, questa volta, a due trombe, un sassofono, percussioni, due ottoni e due sole voci bulgare). Magari, per presentare ll’ultima produzione discografica: Alkohol, appunto. Produzione (doppia: la prima parte, Sljivovica, è già commercializzata; la seconda, Champagne, deve ancora entrare sul mercato) che ha giustamente invaso la scaletta con ritmi alti e con sonorità sincopate, facilmente fruibili (e la gente accorsa, infatti, ha ballato e saltato, spingendosi e strattonandosi tra schegge di bottiglie ormai vuote, fiumi di primitivo e molta birra). E che, così, al primo ascolto, ci sembra musicalmente meno raffinata delle proposte precedenti (scivolate, per la cronaca, nell’ultima parte del live), ma sicuramente adatta ad accompagnare la giornata di festa. Perché di festa popolare, in fondo, si è trattato. Una festa alla quale Bregović si è presentato, ancora più che in passato, nel ruolo di maestro concertatore, più che di cantore o chitarrista. Lasciando ad altri il compito di coinvolgere e tenendo per sé quello di catalizzatore mediatico e di narratore.
«Il mio concerto, però, è sempre lo stesso. Qui, in Italia, come altrove – rivela lui stesso - . E questo perché non possiedo la cultura dello show-business. Canto e suono quello che mi piace, da sempre. Coltivando una piccola responsabilità, ogni volta: perché è una responsabilità affronatare tanta gente che ha deciso di dedicarti due ore del proprio tempo. Così come è una responsabilità essere messaggero di una cultura e di un Paese, la Jugoslavia, che non esiste più, disgregatosi in tante piccole repubbliche. Ecco: io sono espressione di un territorio emozionale, che però non si esprime con un genere musicale molto originale, perché ampiamente radicato nelle tonalità dell’est d’Europa e, quindi, fortemente condizionato». Ma la musica, si sa, è materia particolare. «Vero. La musica è strana. Arriva dalla parte di noi stessi più profonda ed è il primo linguaggio usato dall’uomo. Ma, fortunatamente, c’è sempre gente curiosa di ascoltare proposte differenti, di misurarsi con culture diverse, di scoprire cosa c’è al di là della propria porta. In tutto il mondo e anche in Italia: dove ho avuto anche l’occasione di formarmi. Ho cominciato ad esibirmi a sedici anni proprio nel vostro Paese, in un bar meglio conosciuto come streep-tease. E ho conosciuto la realtà di una cità come Napoli. Certo, allora non immaginavo di avere, un giorno, la possibilità di suonare un repertorio, diciamo così, più elegante. E, comunque, ancora oggi ritengo un miracolo esibirmi in Italia e riscuotere tanti attestati di stima, davanti a molta gente».

Goran Bregović (voce e chitarra) & la Wedding and Funeral Orchestra
Otranto (LE), Porta Terra
Alba dei Popoli 2009/2010

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)