sabato 14 luglio 2007

Curve nella memoria

«Un Uomo» è uno scrigno, un condensato sonoro, un riassunto di trent’anni. E di un artista. Di un artista vero e verace. E anche abbastanza incazzato: un tempo, almeno. Quando le parole, più di oggi, significavano qualcosa e anche di più. Quando la parola era la parola: forma e contenuto, veicolo di idee da sperimentare, diffondere, affrontare. Incazzato, sì. E, talvolta, persino scomodo: perché pensare è scomodo. Qualche tempo fa, almeno: quando la canzone cantautorale, più di oggi, era poesia di strada, verbo, specchio del disagio, coscienza popolare. Quando la gente non sprecava le parole, provando a pensare. Pur sapendo che, molto spesso, pensare è sconsigliato. «Un Uomo» è il testimone del viaggio musicale di Eugenio Finardi, milanese testardo ed affabile, un tempo discretamente rockettaro: molto più di altre firme pregiate della canzone italiana. Quella di qualità, per intenderci. E oggi cinquantacinquenne brizzolato e acquietato: se non intellettualmente (non lo crediamo, infatti), almeno nelle movenze, nell’atteggiamento. E, comunque, palesemente intrappolato da quella malinconia che si arrampica, implacabile. E che, in fondo, addolcisce, smussa, affina. Di più: «Un Uomo» è una vera e propria collana discografica (quattro cd, per la cronaca), profonda e approfondita, che racconta una sessantina di passaggi tra i più rappresentativi della carriera del cantautore, attorno ai quali – però – gravitano anche undici brani inediti. Un’antologia o quasi. E, probabilmente, uno spartiacque tra passato e presente. Ovvero, un album multiplo che l’Italia sta conoscendo con «Un Uomo Tour», passato anche per il Salento. Dove Finardi ha consumato il concerto più ricettivo della Notte Bianca 2007 di Melpignano, sul palco sistemato affianco alla sagoma barocca (e ormai celebratissima, grazie alla Notte della Taranta) del Convento degli Agostiniani, sempre più location di tendenza. In una situazione che, peraltro, ha avvicinato note di diversa estrazione e teatro, animazione e letteratura. Concerto «di canzoni nude e crude, come ce le suoniamo tra di noi»: il vecchio ragazzo è di ottimo umore e il colloquio con la platea è assolutamente confidenziale. Non c’è band: solo voce e chitarra, con l’apporto continuo del pianoforte di Alberto Tafuri. Lo charme garbato fa atmosfera, senza caricarla. I toni rimangono morbidi, inalterabili. Anche il live parte da lontano, dagli albori, dagli anni settanta. Da “Voglio” e “Patrizia”, toccando titoli riveriti come “Dolce Italia”, “La Forza dell’Amore”, “Diesel”, “Stellina”, “La Radio” e, ovviamente, “Musica Ribelle”, il secondo e ultimo bis. Puntando, in un paio di momenti, sul blues più puro, che è poi l’origine musicale di Finardi (bella la versione di “Holy Land”). In tutto, settanta minuti: non tantissimi, ma ben strutturati, con semplicità. Del resto, la notte avanza e altre arti (altrove, tra Piazza San Giorgio e il centro storico) reclamano spazio e attenzione. Avanza come avanza il tempo: che certifica l’imbocco della curva della memoria, quella porzione di tragitto che non risparmia neppure Finardi, cinquantacinquenne ancora rampante, ma assai più languido. E professionista sensibile e serio: come, non troppo tempo addietro, dimostrò anche a Mola, esibendosi ugualmente, a poche ore di distanza da un fastidioso collasso pomeridiano. C’era la band, allora: ma la verve era già più gentile, misurata. Sembrava semplicemente un orientamento prudente e temporaneo, dettato dalle circostanze. E, invece, non avevamo captato che la curva della memoria era lì, pronta ad essere percorsa. Con eleganza naturale, con trasparenza. E senza dispiacere, in fondo.

Eugenio Finardi (voce e chitarra) & Alberto Tafuri (pianoforte)
Melpignano (LE), Piazzale del Convento degli Agostiniani
Passeggiando Sotto la Luna – Notte Bianca 2007

(pubblicato sul sito www.levignepiene.com)