giovedì 7 agosto 2008

Il menestrello brusco

Tonino Zurlo è un menestrello un po’ naif e anche un po’ irrequieto. Ma è pure uomo di principi saldi. Quasi d’altri tempi. Come quelli che racconta. O come quelli che vorrebbe continuare a raccontare. Ed è un’anima profondamente popolare. Dagli istinti spesso eccessivi. Dalle forme talvolta sgraziate. E dalla sostanza impastata di ironia e amarezza. Parla, parla tanto. E, certe volte, straparla. Utilizzando il dialetto, il suo dialetto. Come una lama, come una spada. Donchisciottescamente. Dunque, generosamente. Non è propriamente un cantante. E, fondamentalmente, neppure un musicista: nell’accezione più usata del termine, almeno. Forse, più che altro, è un musico. Uno di quei musici persi nei meandri del tempo, della storia. Che è la nostra storia. Tonino Zurlo, piuttosto, è un cantastorie. Un cantastorie che naviga nel mare di una contemporaneità radicata nella memoria. E ancorata a certi retaggi di ieri. Con un occhio guarda al passato. E, con l’altro, al presente. Senza perdersi. E lasciandoli incrociare. Estraerndone la polpa. E centrifugandola nel caleidoscopio del suo mondo colorito e terragno. Temprato da quella cultura contadina che ha edificato la terra e le genti di Puglia.
Tonino Zurlo riporta la tradizione e poi la modella. Con quel suo vocabolario brusco e poco protocollare. Trovandosi esattamente al centro della storia della nostra canzone popolare, ma anche oltre. Con trasporto. E anche con rabbia. Perché la rabbia è l’espressione di un disagio. E il disagio, da sempre, è una forma assai popolare del vivere quotidiano. Con trasporto, rabbia e teatralità. Parla e urla, Zurlo. La sua Puglia, il suo sud, la propria idiosincrasia nei confronti di un potere che poi così astratto non è. Parla, urla e ci crede. Ci crede ancora. Pittorescamente. E le sue favole planano sul pubblico beffarde. Caoticamente, come il personaggio impone. O, forse, pretende. Rischiando spesso di parlarsi un po’ addosso. Ma la sua verve copiosa è assalutamente genuina e non c’è frode intellettuale. Anzi, nella piazza di Polignano, in occasione del live che è parte integrante dell’omaggio della locale amministrazione comunale al cinquantenario della creazione di “Volare”, il brano più conosciuto del repertorio di Mimmo Modugno e anche lo spartito italiano più famoso nel mondo, il menestrello ostunese appare persino più asciutto del solito. E meno ripetitivo. Potere, chissà, della plateagremita. Dell’appuntamento impegnativo. O di quel nome, Domenico Modugno, così ingombrante. Un nome che tutti gli artisti intervenuti nella rassegna ricordano puntualmente.
Anche Tonino ripercorre le note di Modugno (e come si fa, del resto, a sviare?) e qualche refrain puntella il suo repertorio. Prima che, sul palco, nella seconda parte della serata, salgano i quattro componenti dei Motacuntu, ensemble di chiara estrazione popolare che interviene, lo accompagna, lo surroga e si diverte. Sì, l’appuntamento è particolare e Tonino annusa la sua specificità, decodificandola e adeguandosi. Per quanto possibile, ovvio: alla fine, l’indole esplosiva sgomita e si impone in un concerto dai toni informali, dove si fondono antichi lavori e qualche testimonianza di «Nuzzole e Parole», la sua ultima incisione discografica, abbastanza recente. E dove il sud è palestra, epicentro, orgoglio, ferita, pretesto, tratto d’unione indelebile con l’opera di Modugno o con la produzione di Matteo Salvatore, al quale Tonino dedica un momento intenso. Dove il sud è partenza ed arrivo di un percorso e di un impegno ormai quarantennale. Dove voce e chitarra sanno penetrare con il sentimento: parole testuali di un menestrello che, della musica, non ha fatto professione, né fonte di reddito. Preferendo trarne emozioni. Profondamente popolari: come i cantastorie di una volta. Con tutti gli eccessi di un’arte assorbita per strada. Dalla gente, per la gente.

Tonino Zurlo (voce e chitarra) & i Motacuntu
Polignano a Mare (BA), piazza San Benedetto
Volare a Polignano a Mare

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)