lunedì 30 agosto 2004

Irio De Paula, affezionato e ispirato

Alla Puglia, Irio De Paula è rimasto affezionato. E, a queste latitudini, ci torna spesso. Lo ha fatto anche quest’anno: prima presentandosi a Martina (il suo live era inserito nella versatile rassegna Notti Barocche, curata dall’associazione Palco Barocco), poi a Marina di Pulsano e, infine, a Manduria (inserito nel cartellone di Radici 2004). Affezionato, dicevamo. E, malgrado il tempo che scorre, sempre ispirato. Malgrado abbia (momentaneamente e, comunque, non del tutto) preferito alla chitarra classica quella semiacustica: che gli ha permesso di presentare una scaletta infarcita di poco Brasile e di tanto jazz. Tuttavia, il programma – forse impropriamente definito come Sambajazz e consumato con la corposissima collaborazione di un batterista di spessore qual è il romano Stefano Rossini e del bassista Giorgio Fontana, pure lui romano - è piaciuto. Anche a chi, magari, avrebbe gradito ascoltare (o riascoltare) l’ennesimo fedele contributo alla bossa nova di Carlos Lyra, Baden Powell, João Gilberto e Luís Bonfá.
Irio De Paula, intanto, è sempre tecnicamente perfetto. Tanto da proseguire a recitare le note a memoria, com’è tradizione. Quasi con nonchalance: ma garantendo un livello di professionalità intatto. Specificità che, negli ultimi trent’anni, lo ha regolarmente premiato, dotandolo di una visibilità continua e ampiamente nazionale. Sin dai tempi del Manuja, locale ingiustamente eclissatosi dalle notti della capitale. Il suo talento genuino, cioè, emerge sempre. E non solo, quando –in prossimità della fine del concerto- si ritaglia uno spazio tutto suo, proponendo (da solo e con la chitarra classica) qualche clássico del suo Brasile: "Odeon" di Nazareth, per esempio, oppure "O Que Será" di Chico Buarque de Hollanda.
Il resto del repertorio, invece, è essenzialmente jazz e, oltre tutto, fortemente elettrico (l’apporto di Giorgio Fontana si fa sentire). Anche se bene si inseriscono le versioni riarrangiate di "Travessia", composta da Milton Nascimento nel ’66, e di "Wave", uno dei brani onnipresenti della produzione di Tom Jobim. E che, di fatto, preservano all’interno del live un ulteriore spazio alle sonorità del Brasile. Le stesse che Irio ha contributo a diffondere in Italia, quando il mercato discografico non era ancora globale e quando la cultura verdeoro non era ancora un modello alla moda.

(pubblicato dal mensile "Pigreco")