sabato 25 novembre 2006

L'Argentina vista da Córdoba

Argentina, quella croce del sud nel cielo terso, equazione senza risultato, capovolta ambiguità d’Orione. Testo (e letteratura, pittoresca ma credibile) di Guccini, tra verità e magia, percezioni e poesia urbana, sensazioni e realtà quotidiana. Ormai datata, ma ancora terribilmente attuale. Argentina, terra divisa tra il passato e un futuro intravisto, da sempre, con inquietudine e incertezza, di pensieri profondi e nobiltà svilite da accadimenti – ancora troppo vicini - inenarrabili e indelebili, Di languori e umori antichi. Mèta di curiosità strisciante, tra le apprensioni di sempre e una recessione da affrontare, ogni giorno, da giorni lunghi e duri. Argentina, di tanghi tragici e, comunque, di musica adulta. Di Gardel e Piazzolla, si usa dire. Sino a scomodare Silvio Rodríguez, che tanguero non lo è mai stato. E terra, tuttavia, di altre note ancora: perché, al di là del tango, c’è un Paese che respira, una cultura che pulsa. E ci sono altri percorsi musicali: che solo l’egemonia di una di esse, grande e senza tempo – il tango, appunto - ha saputo oscurare oltre i confini nazionali e, perciò, appartare dal pubblico più vasto. La verve jazzofila e terragna di Javier Girotto, allora, arriva in tempo a ricordarci che c’è un mondo, tra l’Equatore e la Terra del Fuoco, dove convivono pure milonga (parente stretta del tango, è vero) e chaya, chacarera e samba (la samba, con l’articolo al femminile, che non è il samba, brasiliano e differente). Stili e musicalità che il sassofonista di Córdoba, ospite più o meno storico della rassegna «Antiphonae», può permettersi di presentare alla platea dell’Auditorium Comunale di Locorotondo, nel terzo live dell’edizione 2006, accompagnato da Carlos Bruschini (basso e contrabbasso), Minino Garay (batteria e percussioni) e Gerardo Di Giusto (pianoforte). Presentandosi, cioè, in una veste nuova. O, meglio, inedita, da queste parti: quella dei Córdoba Reunión, quartetto che affronta il viaggio tra gli spartiti ispirandosi al jazz (e nutrendosi di jazz) per circumnavigare, sùbito dopo, le atmosfere più popolari di un’Argentina florida e malinconica, magica e gravida: di illusioni, disillusioni, speranze e disturbi. Córdoba Reunión, la compagnia di Córdoba, ovvero la città da cui ognuno degli integranti del quartetto si è formato, in attesa di spaziare oltre. Cioè, di emigrare: per poco o per tanto, temporaneamente o definitivamente. Come ogni argentino di talento - e non solo in campo musicale – è stato costretto a fare nel ventesimo e nel ventunesimo secolo. Proprio come Javier Girotto, rifugiatosi a Roma. O Minino Garay e Gerardo Di Giusto, trasferitisi nel fascino di Parigi. O Carlos Bruschini, transitato da Despeñaderos al Lago Maggiore. Córdoba Reunión, per servirvi. E per distribuire un progetto vivace e fresco, impastato di ritmo e di ritmi, di energia e calore. E anche di colore, perché no. Un progetto dai gusti rotondi, convincente. Talvolta effervescente. E, a tratti, persino esuberante. Questione di animo, oseremmo dire. Importunando una frase fatta e abusata, aggiungeremmo: questione di animo latino. Correndo il rischio serio di apparire scontati. Ovvio, l’impronta del live (e la direttrice dell’idea che lo genera) è fortemente jazzistica: nell’esecuzione e negli arrangiamenti. Ma l’incrocio di culture diverse e di esperienze musicali arricchisce, invece di sviare. In questo caso più che in altri. La contaminazione esiste, insiste: ma non corrode. Dà, piuttosto che sottrarre. E lascia maturare ulteriormente il progetto stesso. Che si evolve, dopo un settennato di cammino. «Ci siamo ritrovati dopo vent’anni, lontano dall’Argentina, in Europa. Vent’anni in cui ci eravamo un po’ persi, malgrado un passato remoto condiviso, agli albori delle carriere di ciascuno di noi», confessa Girotto. «E adesso torniamo nel nostro Paese, ad esibirci. Perché a dicembre presenteremo in tournée un nuovo lavoro discografico: che si chiama proprio Córdoba Reunión. Sono tutti brani originali. Ma, alla base del lavoro, convivono varie sezioni ritmiche». Il banco di prova è serio, serissimo. E quello di Buenos Ayres, tappa prima, ancora di più. Quattro vecchi ragazzi di Córdoba non passeranno inosservati. Assolutamente no.

Córdoba Reunión (Javier Girotto: sassofono; Gerardo Di Giusto: pianoforte; Carlos Bruschini: basso e contrabbasso; Minino Garay: batteria e percussioni)
Locorotondo (BA), Auditorium Comunale
Antiphonae 2006

(pubblicato sul sito www.levignepiene.com)

venerdì 10 novembre 2006

Intrecci suggestivi

Antiphonae 2006, atto secondo. Con due protagonisti già stabilmente accreditati sulla scena nazionale. E una trama niente affatto convenzionale. Perché inusuale (e suggestivo) è l’intreccio tra un pianoforte e un bandoneón. Lì, nel mezzo del palco, quello dell’Auditorium Comunale di Locorotondo: strumenti di stuzzicante convivenza, oltre tutto senza ulteriore accompagnamento. Evidentemente, però, l’esperimento può azzardarsi. E riuscire. Arricchendo la lista dei significati della rassegna, partita ad ottobre con il live dei Talea e ormai all’ottava edizione. Il piano è tra le mani di Rita Marcotulli, versatile quarantasettenne romana, jazzista della seconda ora (l’approccio con la musica è legato, piuttosto, alle sonorità sudamericane), ma assolutamente stimata. E non solo in Italia o in Svezia, dove ha vissuto e sperimentato. La cura del bandoneón, invece, è affidata a Daniele Di Bonaventura, marchigiano di Fermo, compositore di estrazione classica, eppure affascinato e contagiato dalle atmosfere di molti angoli di mondo (Argentina, innanzi tutto) e da progetti differenti tra loro (qualcuno, forse, ricorderà la collaborazione con Francesco Guccini nell’album «Ritratti», del 2004). L’alchimia partorisce un risultato arioso, cioè un concerto di facile assorbimento, che svicola senza intoppi, che si sparge senza frizioni, confezionato con leggerezza. Malgrado il prodotto custodisca una certa impronta classica, lasciando qualche metro di distanza dall’interpretazione jazzistica. E dove, comunque, la Marcotulli e Di Bonaventura provano a mescolare stili e preferenze, cercando soluzioni nuove. E senza oscurarsi (e togliersi spazi) a vicenda, ma compensandosi. Il repertorio è ispirato a musiche popolari raccolte un po’ ovunque. Canto alla Terra diventa così l’occasione buona per divagare tra la geografia e la musica, con eleganza, forma e sostanza. Ovvero un percorso sonoro che oltrevalica le terre conosciute, raggiungendo luoghi in cui le radici musicali riemergono con vigore. Affidandosi a brani originali (come “Just Feel”, tratto da «Koiné», del 2002, già eseguito dall’israeliana Noa, che – anzi - l’ha dirottato su un proprio album) e successi altrui, riarrangiati e riadattati. Tutti frutti di un progetto recente, proposto a Locorotondo per la seconda volta assoluta (il debutto è avvenuto ad aprile, a Pedaso, nelle Marche), come Rita Marcotulli sottolinea, lasciando trasparire un alone di orgoglio. Ma anche di un progetto fresco e impegnato, sentito: che va a collocarsi in fondo alla lista delle diverse esperienze della pianista, molto spesso rapita dai richiami del cinema o della letteratura o della poesia. E sempre pronta a ispezionare nuovi sentieri: come dimostra la prossima data pugliese, quella del 15 dicembre, quando al Teatro Paisiello di Lecce dividerà il palcoscenico di Jazle 2006 con il sassofonista britannico Andy Sheppard. Assieme al quale, detto per inciso, sta per pubblicare un nuovo lavoro, diretta conseguenza di un’intesa musicale datata già un paio d’anni.

Rita Marcotulli (pianoforte) & Daniele Di Bonaventura (bandoneón)

Locorotondo (BA), Auditorium Comunale

Antiphonae 2006

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

martedì 7 novembre 2006

Talento e buon gusto

Il talento al servizio del buon gusto. E il buon gusto al servizio del talento. E, ancora, la felicità di esprimersi con raffinatezza, sobrietà. Ma anche pienezza, intensità. E brio, quando serve. L’offerta (la prima, generosa offerta: più avanti è previsto un ulteriore appuntamento) della Camerata Musicale Barese ai cultori del jazz di qualità di casa nostra si chiama Dave Douglas, americano del New Jersey prolifico – oltre venti lavori originali dal 1991 ad oggi – e navigato. Che, al Nuovo Palazzo di Bari (per la sessantacinquesima stagione concertistica) si presenta con l’interessantissimo Donny Mc Caslin al sassofono, James Genus al contrabbasso, Clarenc Penn alla batteria e – addirittura – Uri Caine al rhodes (sì, avete letto bene: al rhodes e non al pianoforte, su specifica richiesta dell’artista). Il quintetto si dota, cioè, di un’impronta moderna che, però, nulla sottrae all’altissima densità delle esecuzioni e al calore del prodotto finito. E questo va detto sùbito, per inciso: per dribblare qualsiasi possibilità di equivoco. Malgrado – e anche questo va sottolineato – il rhodes non renda giustizia piena alla classe e alla personalità di Uri Caine. Diventando, di fatto, un passaporto insostibuibile per la tromba di Douglas e per il sassofono di Mc Caslin: che si assicurano così, dall’inizio alla fine, il fulcro delle attenzioni, gravitando a proprio piacimento tra note e improvvisazioni. E riempiendo il palco, anche da sole. Senza dimenticare, tuttavia, di offrire lo spazio vitale agli altri strumenti, utilissimi ad aprire la strada, a modellare gli assist migliori. Attorno al repertorio (impegnato, ma godibile; anzi, godibilissimo) emergono un’esibizione confezionata con accuratezza e non poche virtù. Che sono poi la leva capace di azionare l’intera serata, accompagnandola per mano. E colpisce anche la quantità di combinazione di accordi, che lascia trattenere il fiato e consumare velocemente i due set (complessivamente, un’ora e mezza di musica sempre carica di significati). Comunque, Dave Douglas, consacratosi sulla scena newyorchese, non rinuncia per neppure un minuto a fortificare la propria etichetta di innovatore, guadagnata in trentott’anni (ne ha quarantatre, a cinque comincia a studiare pianoforte, a sette si avvicina al trombone; solo più tardi si dedica alla tromba) vissuti con la musica, per la musica. Un altro buon motivo, questo, che ha evidentemente spinto la Camerata Musicale Barese a sottoporlo ai propri abbonati e a quanti hanno voluto esserci (e chi non c’era, ha perso parecchio). Camerata che, a marzo, nel gran mare degli eventi dedicati alla classica e alla danza, ha previsto un secondo momento jazzistico con il live di John Abercrombie, chitarrista che presenterà il suo ultimo progetto. Con lui, il violino di Mark Feldman, il contrabbasso di Marc Johnson e la batteria di Joey Baron. Niente male, davvero.

Dave Douglas Quartet (Dave Douglas: tromba; Donny Mc Caslin: sassofono; James Genus: contrabbasso; Clarenc Penn: batteria) & Uri Caine (rhodes)

Bari, Cinema Nuovo Palazzo

65ma Stagione Concertistica della Camerata Musicale Barese

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)