sabato 25 ottobre 2008

Michael Rosen, l'intimo coinvolgimento

Dunque, il cuore di Antiphonae batte ancora. E’ la notizia, anche per quest’anno. Perché ogni anno occorre combattere. E subire la tirannia dell’incertezza. E, soprattutto, ogni anno occorre ripetersi. Perché è lo sviluppo delle situazioni ad esigerlo. E perché il dovere di cronaca lo impone. La rassegna, allora, sopravvive anche all’ennesima ingiuria delle ristrettezze economiche. E conferma la sede di Locorotondo: malgrado i segnali di scollamento del più recente passato. Sopravvive: senza rilanciare, ovviamente. Ma sostenendo ugualmente il peso di cinque appuntamenti: gli stessi, numericamente parlando, dell’edizione precedente. E questo è, sinceramente, un dato da accogliere con soddisfazione.
Antiphonae, anzi, festeggia. I suoi primi dieci anni di storia, per esempio. E non è avvenimento scontato, a queste latitudini: dove, talvolta, è facile partire. Ma non stabilizzarsi. Perché l’entusiasmo, prima o dopo, si scontra con la realtà. Che è sempre un po’ antipatica. Festeggia, ripartendo con un quartetto, quello pilotato da Michael Rosen, newyorkese affezionatosi all’Italia e sassofonista di estrazione jazzistica, ma molto spesso incamminatosi sulla via del pop e prestato alle esigenze cantautorali di Bennato, di Concato o di Mina. Ma anche compagno di avventura di Rossana Casale o Amii Stewart, giusto per aggiungere un paio di nomi largamente conosciuti. Il primo live del duemilaotto è la lettura di Unquiete Silences, la produzione discografica più recente del quarantacinquenne artista statunitense, affidata anche alla tecnica e al drumming purissimo di un batterista di culto quale Fabrizio Sferra, all’esperienza di Ares Tavolazzi (al contrabbasso) e al pianismo pulito di Paolo Birro. E, contemporaneamente, è anche la rilettura di Elusive Creatures, l’album firmato precedentemente da Rosen.
Unquiete Silences, diciamolo sùbito, è una raccolta di ottimi spartiti. Cioè di composizioni convincenti, di armonie equilibrate, ma anche ricercate e raffinate. Ovvero, una pagina di jazz denso, arricchito dalla qualità dei singoli musicisti, ma anche dal mestiere di ciascuno. Malgrado qualche veniale incidente di percorso, giustificato dal ridotto numero di incontri consumati della formazione. Che, in pratica, ha registrato in studio senza poi ritrovarsi a sufficienza sul palco, prima della trasferta a Locorotondo. Problemi di amalgama a parte, però, il concerto tiene e gli assenti si perdono qualcosa. Brani come “Un Film Italiano” (l’unico titolo che rifugge l’inglese in oltre venti anni di residenza al di qua delle Alpi, fa sapere Rosen) o come “Rita, My Dear” (un omaggio alla pianista romana Rita Marcotulli, una degli ospiti dei prossimi appuntamenti di Antiphonae) o come “Unquiete Silences” (che dà, oltre tutto, il nome all’intero disco e che vuole ricordare le vittime di tutte le guerre) offrono momenti ricchi di tonalità e di calore. E di intimo coinvolgimento, aggiungeremmo. Pienamente captato, in platea.
Del resto, i primi dieci anni di Antiphonae (rassegna che – da sempre - si nutre di progetti, ma anche di avventure artistiche ed umane, come scrive nella brochure di sala Caterina Mutinati, presidente dell’omonima associazione martinese) andavano pure salutati con un progetto ben scritto e accattivante. In attesa di quanto potremo ascoltare a novembre (sono previste le esibizioni del quintetto del chitarrista materano Dino Plasmati, nobilitato dalla presenza di Nicola Stilo, e del trio capitanato da Marco Tamburini) e a dicembre (prima arriva il quartetto di Stefania Tallini, Marco Renzi, Nicola Angelucci e Gabriele Mirabassi; poi chiude la kermesse il bandoneonista Daniele Di Bonaventura, accompagnato dal Vertere String Quartet). E in attesa, soprattutto, di segnali che incoraggino ulteriormente l’impegno del gruppo di gestione della rassegna. Cioè, di presenze più copiose nell’Auditorium Comunale e, in particolare, di un’attenzione mediatica tuttora insufficiente. Della quale, sinceramente, fatichiamo a comprendere le motivazioni. Niente, cioè, sembra essere cambiato, negli ultimi dodici mesi. Tanto che anche la delusione passa via. Senza lasciare neppure la traccia, ormai.

Michael Rosen Quartet (Michael Rosen: sax tenore e sax soprano; Paolo Birro: pianoforte; Ares Tavolazzi: contrabbasso; Fabrizio Sferra: batteria) in “Unquiet Silences”
Locorotondo (BA), Auditorium Comunale
Antiphonae Jazz 2008

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

domenica 19 ottobre 2008

Una mattina con Marley. Guardando l'Africa

Punto primo: ormai quasi ovunque – e da tempo – pubblico e privato propongono, la domenica, matinée musicali: in ambito classico e lirico, ma non solo. E i riscontri sono assai più che incoraggianti. La formula piace e la gente risponde. E, se poi le note confluiscono nell’aperitivo, meglio ancora. E, allora, perché non provarci anche in queste contrade? L’Associazione Carlo Orff si accolla l’idea e presenta Cantieri Aperti, rassegna di sei appuntamenti senza una precisa collocazione stilistica (si passa dal reggae riveduto e corretto alla classica, passando per il jazz e per il gospel) equamente divisi tra il restaurato Teatro Margherita di Putignano (di sera) e la Biblioteca Comunale, sempre a Putignano (le domeniche mattina, appunto). Il progetto del violoncellista Vito Amatulli, cioè l’anima organizzatrice, e dell’amministrazione comunale copre così uno spazio temporale largamente inutilizzato e garantisce visibilità nuova a due location interessanti. Offrendo spazio, peraltro, ad artisti di sicuro affidamento e di prospettive larghe come il violinista polacco Robert Kowalski, il pianista argentino José Gallardo, la violoncellista croata Jelena Ocic, il trombettista romagnolo Marco Tamburini, il Vertere String Quartet, il violinista nocese Giuseppe Amatulli, il pianista Massimiliano Conte e il Wake Up Chorus : ovvero, i prossimi protagonisti, da qui a dicembre, del percorso musicale.
Punto secondo: si può proporre il ritmo, la sfrontatezza e l’indole ribelle del reggae in uno spazio discreto come un auditorium? Senza strumenti elettrici e sound system e con un impianto di amplificazione essenziale? Anzi: con una voce (plastica e, a momenti, commossa) e un contrabbasso, supportati da poche percussioni, peraltro inattese, perché fuori programma? Sì, si può. E il prodotto è assolutamente sorprendente. Per la leggerezza con cui si ramifica, sin dai primi accordi del live. Esattamente quello che accade nella prima delle tre matinée di Cantieri Aperti, dove si dividono il palco la vocalist Connie Valentini e Camillo Pace: che, già da un po’, lavorano sul tributo a Bob Marley, un progetto arroccatosi sull’intuizione di avvicinare il jazz (quello unversalmente più conosciuto) alle sonorità africane e al sound inconfondibile del rasta giamaicano e, in seguito, sviluppatosi anche per sorreggere un futuro progetto umanitario in Africa. Terra, detto per inciso, alla quale il contrabbassista martinese è culturalmente assai legato, anche per avervi preparato una tesi di laurea in Etnomusicologia.
«Intanto – assicura Connie Valentini – arriverà presto un disco, ormai in via definizione. Con l’aiuto del quale prevediamo di poter costruire qualcosa di utile, laggiù. Ma, al di là di questo, l’esperienza in duo è ormai collaudata, datata. Sicuramente, la proposta è particolare e può apparire persino avventurosa. Diciamo pure che, all’inizio, abbiamo immaginato di suonare esclusivamente per noi, come si fa su una spiaggia, magari tra le palme. Poi, abbiamo pensato di esportare il messaggio di una personalità forte come Bob Marley, un uomo che ha inseguito l’utopia con coerenza». Non attendetevi, però, l’atmosfera tipica di quelle feste-concerto. Né il mare di gente sul prato, tra rum e marijuana. Connie Valentini e Camillo Pace, tuttavia, garantiscono un concerto non convenzionale, dai toni morbidi e addirittura confidenziali, che vive di energia propria e per niente devitalizzato dall’assenza diella strumentazione musicale più cara al reggae. Cioè, sessanta minuti credibili, lievi. E niente affatto rigidi o stantii, come potremmo essere facilmente orientati a pensare. Anche quando fluiscono le tonalità di “No Woman, No Cry”. E pure quando sgorga la più delicata “Il Volo dell’Angelo”, brano originale e cantato in italiano: una finestra sul mondo di Bob Marley e sulla Giamaica. E un ponte verso l’Africa.

Connie Valentini (voce) & Camillo Pace (contrabbasso). Guest Nico Vignola (percussioni)
Putignano (BA), Biblioteca Comunale
Cantieri Aperti

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

venerdì 3 ottobre 2008

Navigando sull'Adriatico

Navigando sull’Adriatico. Sulle onde di un mare che aggrega. Attingendo da ogni sponda, passando per ogni porto, sfondando l’orizzonte. Cavalcando ritmi popolari e balcanismi, cercando nel passato e allargando il presente. Bandadriatica è l’equipaggio di una nave immaginaria, che freme di partire e che freme di arrivare. E’ un equipaggio che si emoziona, perché partire è un’emozione, perché il viaggio è l’avventura, e ogni avventura è una storia che insegue particolari nuovi, dettagli sconosciuti. E solo chi parte può capire.
Bandadriatica è un progetto che non si ferma, che si evolve. Ogni volta che si parte. E l’Adriatico è la sua prateria, la sua ispirazione e il suo fine. Claudio Prima è il capitano istrionico di una nave che salpa da Brindisi, porta d’Oriente che trascina l’arcaica cultura salentina e i suoi sapori, le sue tradizioni. Che lasciano la terraferma e sconfinano. Perché Bandadriatica è la musica della tradizione che va ad incontrare altre strade. Una tradizione che arriva dal mare e che, per il mare, emigra ancora. E, per mare, la pizzica si balcanizza, si contamina, si spezia. In Montenegro o in Albania, a Dubrovnik come a Valona, abbraccerà ritmi irregolari, danze rom e altro ancora. Le note confluiranno in un unico spazio, senza confini. E potrà anche capitare di imbattersi in brani bulgari tradotti nel dialetto del Salento.
L’ottetto punta sul ritmo, sui fiati. Quelli di Emanuele Coluccia, sassofonista che, solitamente, orbita attorno al jazz, del trombettista Andrea Perrone, di Gaetano Carrozzo, trombonista ercolano, e di Vincenzo Grasso, al sassofono e al clarinetto. Punta sulla tradizione e sull’innovazione. Che è un po’ l’idea fissa di Claudio Prima, voce ufficiale della formazione e organettista temprato da differenti esperienze (Manigold, Tabulé, Radicanto, Adria). La solida batteria di Ovidio Venturoso, le incursioni armoniche di Redi Hasa, violoncellista albanese e salentino d’adozione, e il basso di Giuseppe Spedicato amalgamano e completano un tessuto sonoro sempre aggressivo, frizzante. Quando la navigazione si fa più difficile e sorge la necessità di una guida, però, soccorre la voce di Maria Mazzotta, tra le più intense e affinate del panorama popolare di Terra d’Otranto. Voce terragna e plastica, duttile e avvolgente. Nulla è scontato, neppure il repertorio. Che reinterpreta, mettendoci del suo. E, allora, arriva pure la produzione originale, consacrata nell’album d’esordio, Contagio, che possiede già un suo tragitto, che ha già polarizzato un consenso abbastanza largo. Un consenso dignificato anche dalla notte di Galatina, consumata a fine agosto, nel concerto di piazza San Pietro che preannunciava l’altra notte imminente, quella della Taranta di Melpignano. E che si riserva, peraltro, anche un sèguito: in primavera, uscirà il nuovo lavoro discografico, supportato da un dvd realizzato in occasione della tournée realizzata recentemente proprio attraverso i luoghi dell’Adriatico, in compagnia della Koçani Orchestar, di Naat Velov e di altri musicisti arrivati dalle due sponde dell’Adriatico.
Bandadriatica, in definitiva, è una banda dei giorni nostri. Che attinge anche dal patrimonio storico e culturale delle bande che si esibivano – e ancora si esibiscono – nelle casse armoniche, nei giorni di festa. Una banda che ama parlare di musica, ma anche della gente. Anzi, di quelle genti che, come recita un vero e proprio manifesto programmatico dell’ensemble, «per secoli lontane, si sono incontrate raramente per voglia, più spesso per necessità. E le musiche, figlie illegittime della stessa tradizione, hanno percorso sempre strade diverse». Quelle genti attorno alle quali si è edificata la nostra storia e si è modellata la nostra cultura. Quelle genti attraverso le quali Bandadriatica si insinua, cercando di catturare segreti e buone idee.

Bandadriatica (Claudio Prima: voce e organetto; Redi Hasa: violoncello; Giuseppe Spedicato: basso; Emanuele Coluccia: sassofoni; Vincenzo Grasso: sassofono e clarinetto; Andrea Perrone: tromba; Gaetano Carrozzo: trombone; Ovidio Venturoso: batteria). Guest Maria Mazzotta (voce)

Villa Castelli (BR), piazza Municipio

(pubblicato sul sito www.levignepiene.com)