domenica 29 ottobre 2006

L'opera prima di Tenneriello

ControVerso è un’opera prima. E, come qualsiasi opera prima, deve incoraggiare chi la realizza. Spronandolo a limarne gli angoli più ruvidi e a fortificarne le convinzioni. Ma il primo lavoro discografico di Leo Tenneriello (e del suo gruppo) garantisce la presenza di un’idea e assicura un solco dentro cui perseguire le linee di domani. ControVerso non è un progetto rivoluzionario, né innovativo, ma un’intenzione interessante. Dove il pop d’autore assume frequenti venature rock, rafforzate dalla chitarra elettrica di Egidio Maggio, dalle evoluzioni extracustiche della tastiera di Marcello Ingrosso e dal raddoppiamento della voci (alle parole di Tenneriello si associano e si mescolano quelle di Marco Nuzzo). Venature peraltro puntualmente addolcite dal sassofono di Tonino Semeraro, di visibile scuola jazzistica. Controverso è una raccolta di otto tracce, distribuite dall’etichetta Interbeat e nate – sembra di capire – con una solida porzione di pudore. Non per caso, ci mancherebbe. Ma senza la presunzione di abbagliare, stordire. Per di più, generate in riva ai due Mari, in una terra difficile da vivere. Anche e soprattutto artisticamente parlando. E accolte in Salento dalla rassegna Tele e Ragnatele, marchio di fabbrica della Saletta della Cultura “Gregorio Vetrugno”, da quattro anni palestra abituale della musica di nicchia, di qualità e possibilmente giovane. Dove, generalmente, non transitano nomi e cognomi unanimemente riconosciuti. E dove, purtroppo, occorre lottare troppo spesso con l’indifferenza popolare. Particolare che potrebbe tranquillamente infastidire Mario Ventura, ideatore della kermesse e ancora saldamente motivato. ControVerso, dunque, è il primo passo. Che, da solo, non può permettersi di occupare lo spazio di un concerto. E, allora, per allargarsi, il quintetto tarantino ricorre (con soggezione, dice) alle cover, in attesa di pensare e presentare il secondo album, evidentemente già calendarizzato. Ecco, perciò, “Rimmel” e “Generale” di De Gregori, “Cosa Sarà” di Dalla e De Gregori, “Mangiafuoco” e “L’Isola Che Non C’è” di Edoardo Bennato, “Uh Mammà” di Mimmo Cavallo, “Io So’ Pazzo” di Pino Daniele e un omaggio a Bob Dylan. Logico, però, tributare maggiori attenzioni sulla produzione originale, che si aggrappa pure sul contributo robusto di Enzo Tenneriello: come “Volo Non Volo” (scritta sulla solitudine di chi non conserva più illusioni), “Devi Imparare” (le note sono firmate anche da Mimmo Cavallo, così come quelle de “Il Mio Falconiere”), “Girasoli” (di Tonino Semeraro, «che mi ha spinto a produrre il cd», riferisce Leo Tenneriello), “Amore Tolemaico”, “Isola Possibile” («è la ricerca dell’altrove che ognuno si porta dentro»), “La Cattiveria” e “Il Grillo” (un po’ il manifesto dell’intero disco, brano «che rappresenta chi possiede un punto di vista diverso sulle cose e per questo viene prevaricato»). Non attendetevi, però, testi arrabbiati o troppo complicati. Leo Tenneriello e il suo seguito (a proposito, Maggio e Ingrosso vantano un percorso datato al fianco di Mariella Nava) si prefiggono di non prendersi eccessivamente sul serio. O, più semplicemente, non abbandonano impunemente i binari del pop per addentrarsi in sentieri più accidentati, limitandosi a riflettere sulla quotidianità degli eventi. Badando, tuttavia, più alla sostanza (delle parole, del messaggio) che alla forma (il confezionamento del live, la raffinatezza dei timbri vocali). Anzi, apparendo talvolta un po’ bruschi, spicci. E abusando delle basi musicali, che – è un parere – tolgono qualcosa, invece di arricchire il progetto. Un progetto destinato a smussarsi e modellarsi. Leo Tenneriello e soci sono i primi ad attendere se stessi.

Leo Tenneriello (voce), Marco Nuzzo (voce), Marcello Ingrosso (tastiera), Egidio Maggio (chitarre), Tonino Semeraro (sassofono, fisarmonica e tamburello)
Novoli (LE), Saletta della Cultura “Gregorio Vetrugno”
Tele e Ragnatele 2006

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

sabato 28 ottobre 2006

Tra i Balcani e il jazz

La seconda vita di Antiphonae abita a Locorotondo, nella raccolta – ed evidentemente più accogliente – cornice dell’Auditorium comunale. E sì, perché il punto della questione (o della discordia) era la casa. E i suoi affittuari. Il fatto è più o meno universalmente conosciuto: la rassegna jazzistica più longeva e interessante della provincia di Taranto si trasferisce. Anzi, emigra. Da Martina Franca, per sette edizioni sede tradizionale di un cartellone talvolta persino importante. Emigra: trascinando attriti, disguidi, incomprensioni e qualche spicciolo di polemica. Leggera, ma anche risentita. Consumando, di fatto, quella che era sembrata una minaccia. E che, invece, adesso è diventata realtà. Dunque: c’è un nuovo direttivo, quello dell’Associazione Antiphonae, creatice della kermesse, edificato sulle macerie del precedente, scioltosi polemicamente lo scorso inverno: se Martina non ci segue e l’Amministrazione Comunale non ci ama – dissero i protagonisti - abbassiamo la saracinesca. C’è un nuovo presidente (Caterina Mutinati invece di Pasquale Mega) e c’è una nuova piazza (oltre provincia, appena sei chilometri più in là, dove si sono concentrate più attenzioni e qualche aiuto economico e logistico, particolarmente gradito). E c’è, ovviamente, anche un nuovo programma: più limitato (la recessione, del resto, non si cancella facilmente, neppure cambiando indirizzo), eppure dignitosissimo. E, complessivamente, godibile: malgrado qualche nome - Javier Girotto, ad esempio - già visto e ascoltato la scorsa stagione (cambia, però, il progetto) e nonostante il massiccio impiego (ma chi ha detto che possa rappresentare un problema?) di musicisti pugliesi. Ai quali, peraltro, in passato la rassegna non ha mai fatto mancare il sostegno, cioè la visibilità e il cachet. E, allora, la prima pietra miliare dell’esilio di Antiphonae, ancora saldamente martinese nelle sue radici e nella composizione del direttivo, si chiama Talea. Il gruppo, ultimamente riemerso sui palcoscenici dopo il debutto (positivo) di qualche anno addietro e un periodo contraddistinto da una minore frequenza concertistica, apre un cammino che, di qui a dicembre, sarà percorso anche da Rita Marcotulli, Daniele Di Bonaventura, i Córdoba Reunión, il già citato Javier Girotto, Raffaele Casarano & Locomotive, il Vertere String Quartet e l’Antonio Dambrosio Ensemble. Primo appuntamento dai larghi orizzonti, verrebbe da dire. Perché l’idea che sorregge la formazione (incrociare le sonorità dell’area balcanica alle esperienze jazzistiche di casa nostra) è buona, anche se ormai sfruttatissima, a tutte le latitudini. Un’idea che, però, si appoggia anche sulla consapevolezza di aver intrapreso il sentiero prima di altri, in tempi maturi, ma non eccessivamente sospetti. Riassumendo, le espresssioni vocali dense dell’albanese Meli Hajderaj e l’esperienza consumata dello slavo Hadnan Hozic (compagno di viaggio, per intenderci, di Cesare Dell’Anna in una formazione di culto come Opa Cupa) incrociano i sassofoni di Gaetano Partipilo (la provenienza è Cassano Murge, Puglia, Italia), il contrabbasso di Giorgio Vendola (barese, vicinissimo all’area di influenza di Mirko Signorile), la tromba del cistranese Giorgio Distante, il sax contralto di Alessandro Nocco, la batteria del cilentano Vincenzo Bardaro e le percussioni di Mario Grassi. Tutti, orfani, per l’occasione, del capobanda, Admir Shkurtaj, fisarmonicista albanese perfettamente integrato nel panorama musicale di queste contrade e bloccato da un problema di salute. Assenza, questa, che toglie qualcosa al prodotto finito, ma che tuttavia non lo svilisce: elemento utile, però, a dimostrare la solidità del gruppo, malgrado gli imprevisti. Una solidità che, peraltro, non impedisce a nessuno di crearsi spazi corposi di creatività e di ritagliarsi applausi privati. Assoli (frequenti) a parte, il repertorio e le atmosfere sono profondamente balcaniche. Le incursioni e qualche interpretazione, invece, più specificamente jazzistiche. La commistione, di fatto, riesce a scaldare la gente e a infrangere le incertezze dei mesi passati a cercare soluzioni diverse e a inseguire nuove strategie. Perché, come sottolinea nella brochure di presentazione della manifestazione Caterina Mutinati, presidente dell’Associazione "Antiphonae", «nessuna edizione è stata più sofferta di questa. Solo un paio di mesi fa nessuno avrebbe più scommesso su di noi. Il risultato è qui, in questa rassegna che non doveva più esistere e che invece esiste ancora, ostinatamente e a dispetto delle crescenti difficoltà e del placido disinteresse che la cultura, a volte, incontra presso certe istituzioni». Traducendo, esserci è già una vittoria.

Talea Modern Balcan Project (Meli Hajderaj: voce; Hadnan Hozic: voce e chitarra acustica; Gaetano Partipilo: sax soprano e sax contralto; Alessandro Nocco: sax contralto; Giorgio Distante: tromba; Giorgio Vendola: contrabbasso; Vincenzo Bardaro: batteria; Mario Grassi: percussioni )

Locorotondo (BA), Auditorium Comunale

Antiphonae Jazz 2006

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

domenica 22 ottobre 2006

Alta produttività

La produttività incalzante non è un problema. E le frequentissime visite nelle sale d’incisioni non sono un ostacolo. Anche se il pericolo subdolo dell’impasse è commercialmente implicito. Parole di Guido Di Leone, compositore barese che, a Capurso (Sala Botticelli dell’Hotel ’90), ha presentato ufficialmente la fatica ultima, «Walkin’ Ahead», partorita nel marzo scorso con la complicità del batterista torinese Alessandro Minetto, del caldo sassofonista Barend Middelhoff (olandese di Den Haag, ma bolognese di residenza) e del contrabbassista romano Pietro Ciancaglini. Del resto, Questions & Notes, voluta dall’Associazione "Porta del Lago" e coordinata dal direttore artistico della manifestazione, Michele Laruccia (per intenderci: è l’attore primo del Multicilturita Summer Jazz Festival di Capurso) è una rassegna che si pregia di sottoporre al pubblico lavori originali prodotti in terra di Puglia, da artisti pugliesi. Coinvolti, prima del live, in un sintetico dibattito dove è possibile comprendere il progetto e le intenzioni che lo sorreggono: situazione, per l’occasione, moderata dall’ormai consumata esperienza di Alceste Ayroldi, una delle anime di Jazzitalia, partner principale dell’appuntamento. Walking’ Ahead, distribuito da pochissimi giorni, è il frutto più recente dell’antica collaborazione di Guido Di Leone con la label tedesca Yvp Music, ma è pure l’ennesimo album lanciato sul mercato discografico a proprio nome o a nome di una formazione in cui il chitarrista (e, da un po’, anche il batterista) è punto di riferimento. Pratica, questa, rinvigoritasi in questi ultimi mesi, per la verità: da quando, cioè, Di Leone ha fondato – con altri musicisti – un’etichetta indipendente, la Fo(u)r. Ma questa è un’altra storia. «E’ vero, non lo nascondo. In estate, per esempio, è uscito il primo album del Trio De Janeiro, del quale faccio parte, e prima ancora ho registrato diversi altri progetti. E l’intervallo tra un cd e l’altro ha coperto tempi ridottissimi. Produco tanto, lo ammetto. E, forse, da un certo punto di vista, sarebbe più opportuno calibrare le presenze, sugli scaffali. Però, sono convinto che un disco resti un biglietto da visita, per un artista. Di più, un quadro. E poi non dimenticherò mai quello che accadde anni fa: preparammo, prima della morte di Fellini, un vasto repertorio di musiche tratte dal bagaglio di Nino Rota, un autore che ho particolarmente amato. Avremmo dovuto inciderle, ma rimandammo. Scomparso Fellini, legato indissolubilmente alle opere di Rota, molti altri ci rubarono l’idea e confezionarono diversi prodotti, bruciando il nostro lavoro. Che non fu mai più approntato».Un concerto non è un disco. E un disco non è un concerto. Ma la presentazione di Capurso ha saputo segnalarsi per l’intensità, soprattutto. E per quelle sonorità adesso fresche e frizzanti, ora particolarmente dense, ma anche di immediata assimilazione. O per quelle note sempre rotonde: ravvivate – consentitecelo – da una batteria che, da queste parti, era transitata veloce in qualche avvenimento non eccessivamente reclamizzato: quella di Alessandro Minetto. «Generalmente – prosegue Guido Di Leone – elaboro un progetto musicale e poi scelgo i musicisti che dovranno eseguirlo. In questo caso, invece, è avvenuto il contrario: mi sono trovato casualmente a suonare con i miei futuri compagni di viaggio. In una di quelle situazioni che solo il jazz può offrire: senza provare. Cioè, ci siamo conosciuti e abbiamo cominciato a suonare: e, allora, mi sono invaghito del loro sound. Ho riscontrato affinità e intesa, da sùbito. Adesso, non abbiamo neanche bisogno di comunicare: ci regoliamo con uno sguardo».La musica è come la vita. E’ arte dell’incontro. Vinícius De Moraes non sbagliava. «Due giorni dopo aver conosciuto Barend, Alessandro e Pietro ho cominciato a comporre cinque brani di questo cd («Walkin’ Ahead» è un incrocio di nove tracce, ndr). E, poco più in là, abbiamo inciso». Facendo convergere pezzi originali (“Walkin’ Ahead”, che offre il titolo all’intero disco, “Soft Blow”, “Hypnotic Waltz”, “Spring Board” e “The Dishwater Tune”) e cover riarrangiate (“Westwood Walk” di Mulligan, “III Wind” e “I’ve Got the World on a String” di Arlen-Koehler, “Mia Malinconia”, tema principale dell’«Amarcord» felliniano, di Nino Rota). E senza dimenticare di aggiungere un’abbondante fragranza di west coast. «Che gradisco infinitamente, contrariamente a molti jazzisti». Guido Di Leone ci riprova. In attesa della prossima intuizione. Imminente, immaginiamo.

Guido Di Leone Quartet (Guido Di Leone: chitarra; Barend Middelhoff: sassofono; Pietro Ciancaglini: contrabbasso; Alessandro Minetto: batteria)
Capurso (BA), Sala Botticelli dell’Hotel ‘90
Questions & Notes

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

lunedì 9 ottobre 2006

Anima popolare

La musica popolare non si crea e non si inventa, né si reinventa. Piuttosto, si interpreta. O, di questi tempi, si contamina. E si evolve (o si involve: fate voi). Semmai, si può inventare una nuova formazione: non per stupire, ma per divertirsi. E, magari, per divertire. O, più semplicemente, per intrattenere, con un po’ di gusto. Senza effetti speciali. Senza artifici. E senza stravolgimenti musicali. Mimmo Gori, tarantino con la passione del tamburello e dell’organetto, accarezzava da tempo un’idea. Da quando, probabilmente, aveva abbandonato il “progetto Demotika Orchestar”, una band niente male nata sull’asse jonico-salentino sulla scia della tradizione. Un progetto disgregatosi, però, nel tempo: diciamo pure der diversità di vedute affiorate all’interno del gruppo. Dove diversità di vedute significa dover rispondere ad uno specifico quesito: perseguire la via maestra oppure concedersi all’innovazione? L’idea di Mimmo Gori, alla fine, si è materializzata e solidificata. Per chiamarsi Terminal Jonio, ensemble che ha cominciato a bussare sulle piazze e nei locali della provincia di Taranto, porzione di Puglia che sta lentamente (o, rispetto al profondo Salento, molto meno velocemente) cercando di riappropriarsi di una parte delle proprie peculiarità culturali. E che, a Mottola, all’interno del Dreams Bar (sede non ufficiale in cui il concerto, organizzato per omaggiare il Parco delle Gravine e inizialmente previsto in piazzetta La Rotonda, è stato spostato a causa delle cattive condizioni atmosferiche), ha riproposto brani conosciuti e anche (generalmente) meno ascoltati, tutti ben rifiniti e ovviamente attinti dall’immenso bagaglio della tradizione meridionale. Passando dalla pizzica alla tammurriata, dalla tarantella alle note importate dal Gargano o dalle Murge, puntando alla conservazione di certe atmosfere, di certe sonorità. Affidate, peraltro, anche alle doti del polistrumentista barese Gianni Gelao, alla voce profonda e popolare e alla chitarra di Peppe Zerruso, alla voce e al tamburello di Pietro Balsamo e al violino di Claudio Merico, affianco ai quali si agita la danza di Simona Tempesta. «Vogliamo solo contribuire a tutelare questo patrimonio musicale, nient’altro. Rifuggendo dalle tentazioni del nuovo che avanza. Non aspettatevi niente di più: il Terminal Jonio Ensemble è un’occasione per stare assieme, per suonare assieme. E per riscoprire qualche strumento ormai dimenticato, perché no. Come la cornamusa o la zampogna. E ci stiamo adoperando per acquisire qualche canto ormai disperso, direttamente dalla voce degli anziani delle Murge. Come vedete, niente di nuovo. Ma è questo che ci piace. E non è detto che rinunceremo a qualche brano originale, anzi» Se è per questo, il progetto del gruppo è più ampio: e prevede, tra l’altro, una collaborazione stretta e imminente con gruppi di ottimo spessore quali quello di Nando Citarella & i Tamburi del Vesuvio, Canto Discanto e Spakka-Neapolis 55, oltre alla Banda di Montemesola. Che, assicura Mimmo Gori , «dispone di musicisti interessanti e, soprattutto, versatili, con i quali sarà possibile impostare un discorso artisticamente intrigante». E, chissà, assicurarsi anche un respiro musicale più vasto e nutrito. Senza doversi necessariamente avventurare per sentieri più o meno oscuri.

Terminal Jonio Ensemble (Peppe Zerruso: voce e chitarra; Pietro Balsamo: voce e tamburello); Mimmo Gori: organetto e tamburello; Claudio Merico: violino; Simona Tempesta: danza)

Mottola (TA), Dreams Bar

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)