domenica 16 agosto 2009

La musica è nuda

Musica nuda non significa musica spoglia. O, peggio, povera e precaria. Anche se il progetto è architettato spartanamente e adagiato su un tessuto sonoro essenziale. Meglio ancora: intimo. Asciutto, verrebbe da dire. Asciutto nel confezionamento, però: molto più che nell’esecuzione. Musica nuda è la voce plastica e lo sguardo felino di Petra Magoni, pisana magra e scattante, dolce e aggressiva, un po’ dark e un po’ tenera. Fredda e calda, assieme. Voce duttile che si plasma attorno alle note sottili del contrabbasso del casertano Ferruccio Spinetti e a qualche effetto artificiale, utile a condire un’esibizione di tecnica e inventiva. Di improvvisazione e di sguardi. Dove darsi, così semplicemente, non basta. Perché, con le armi – seppur affilate - delle corde vocali e di quelle di uno strumento con cui è difficile inventarsi un concerto, è saggio e opportuno concedersi di più. Molto di più. Totalmente.
Musica nuda non è, tuttavia, un progetto recente. Il suo cammino, anzi, è sufficientemente datato. E ben rodato, ormai. Particolare di non trascurabile peso. L’esperienza accumulata, tra live e dischi (quattro, se non ricordiamo male), lascia l’impronta, smussa qualche spigolosità trovata in passato sul cammino, depura il prodotto finale, ne addolcisce qualche lineamento, arrotonda il repertorio. La performance dal vivo di Noci, di fronte ad un’affollatissima piazza Plebiscito, quella della Chiesa Madre (suggestiva, ma anche inadeguata, in virtù dell’affluenza copiosa: del resto, Ferragosto è appena transitato), è – per intenderci – pienamente convincente. Sotto ogni angolazione: compresa quella della scelta dei brani in scaletta. Molto più convincente, ad esempio, dell’incursione all’Alterfesta di Cisternino, concretizzatasi qualche anno addietro. Perché, forse, più matura e consapevole. Meno rigida, cioè. Al di là delle differenze strutturali delle location: quella (a Cisternino, tra la terra rossa e le pietre di una masseria) più dispersiva; questa (a Noci, appunto) più accogliente e ovattata.
L’atmosfera di complicità facilmente solidificatasi con la platea, poi, aiuta. Certo, la gente arrivata in piazza sa a cosa va incontro. Non è di passaggio: arriva anche da fuori porta, appositamente per ascoltare. Per ascoltare Petra, un fascio di muscoli e nervi che si agita, si contorce ed esplora teatralmente la moltitudine delle tonalità, applicando le regole del mestiere, ma anche l’irruenza e gli impulsi dell’animo. E per abbracciare gli arrangiamenti di Spinetti, uno che – si dice - ha scelto di abbandonare la formazione più originale del panorama cantautorale italiano, gli Avion Travel, anche per dedicarsi completamente alla causa. Causa che non possiede una strada segnata, ma che spigola qua e là, attingendo dai Beatles e da De Andrè, dai classici internazionali (“Nature Boy”) e dal bagaglio degli autori di casa nostra (Pacifico), passando per Ornella Vanoni e Cristina Donà. Saltando da un universo all’altro, provando a catturare quello che può diventare congeniale al progetto. E che può confortare la qualità dei profili musicali dei protagonisti. Una voce e un contrabbasso che, un giorno, si sono trovati, cominciando un viaggio coraggioso e niente affatto scontato. E che, anni dopo, sono ancora lì, a scoprirsi e a rincorrersi.

Petra Magoni (voce ed effetti) & Ferruccio Spinetti (contrabbasso) in “Musica Nuda”
Noci (BA), piazza Plebiscito
Nocincanta ‘09

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

domenica 9 agosto 2009

Tra humor e note libere

«Amo i giochi di parole: E, soprattutto, quelli che titolano i miei brani. Del resto, i miei lavori sono musica strumentale, privi di voce e parole. E, allora, si fa più difficile trovare un titolo adatto». Firmato Marcello Zappatore, chitarrista leccese. E one man band di un disco scandito da ritmi variabili e appena licenziato. Anzi, autolicenziato: perché, appunto, si tratta di un’autoproduzione. Il disco è La Ciliegina sulla Porta. Un gioco di parole. Né più, né meno. Come “Gocce Novelle”, “Nasi Comunicanti”, “Zappando S’Impara”, “Sinfonia della Scapece”, “Come il Cacio sui Pantaloni”, “Velo Mieloso”, “Epilogo Senza Fine” e “Ghiro d’Italia”, alcune delle diciassette composizioni inserite nell’album. «Ma sì: perché utilizzare i soliti inglesismi? Ho preferito un titolo ironico, che incuriosisca, faccia sorridere e, magari, inviti all'ascolto». Un ascolto senza troppi vincoli musicali. Perché il concetto è questo: si parte dalla musica. E poi si naviga. «Quando suono e quando compongo, mi piace spaziare e, spesso, senza alcun senso logico». Tra input diversi, sfiorando stili e filosofie musicali persino distanti tra loro. Dove porta il vento delle note.
La La Ciliegina sulla Porta è un progetto, però. Un progetto nel progetto. O una maniera di misurarsi, da solo con se stesso. Un’idea autarchica. Che non nasconde il proprio fascino. «Esatto. Questo disco è stato registrato interamente da me. E dietro ogni strumento ci sono io». Non c’è una formazione, non ci sono compagni di viaggio. «E sì, posso tranquillamente affermare che questo è un disco tutto mio, integralmente mio. Concepito, realizzato e prodotto dal sottoscritto». Registrato, peraltro, nel 2003. E sgorgato materialmente sei anni dopo. «Ironicamente, verrebbe da dire che questo cd è come il buon vino: invecchiando, migliora. E che un buon vino va stagionato, prima di poterlo assaporare. La realtà racconta però che, attualmente, c'è pochissimo mercato, soprattutto in Italia. E, ancor di più, per il tipo di proposta musicale che offro». Ma non è mai troppo tardi, evidentemente.
Marcello Zappatore ama Frank Zappa. E a lui, dichiaratamente, si ispira. Trentatre anni, venti dei quali dedicati alla chitarra. «Sono un autodidatta, perfezionatosi frequentando innumerevoli masterclass. E, sul palco, ho suonato con artisti di estrazioni differenti. Con Alex Damiani, ad esempio. Oppure, con i Kiss of Death, con i quali ho inciso Inferno Inc., nel 2004. Ma ricordo anche le esperienze di spalla ai Sepultura, nel 2002. E, ovviamente, quella di due anni e mezzo con una delle formazioni salentine più amate dalle nuove generazioni, gli Après la Classe. Gruppo con cui ho partecipato nella produzione di Luna Park, del 2006, e del cd live uscito nel 2008, salendo sul palcoscenico di Arezzo Wave nel 2005. E anche su quello di San Giovanni in Laterano, a Roma, in occasione della festa del Primo Maggio, due anni fa. Davanti, dicono, a settecentomila persone, dividendo il palco con Chuck Berry e numerosi altri artisti di spessore».
Prima, durante e dopo, invece, la solita spola tra questa e quella formazione. Cammino obbligato per chi di musica si nutre. E vive. L’ultima situazione, ad esempio, è un espressivo viaggio tra le parole delicate (tra il soft e l’impegnato, tra il cantautorale e il pop) di Agnese Manganaro, vocalist salentina di nicchia. Ma non solo musica: Marcello Zappatore, nel 2005, è protagonista di un cortometraggio firmato da Massimiliano Verdesca, In Religioso Silenzio. Pellicola che, oltre tutto, si aggiudica il premio della critica al Milano Film Festival. Alla fine, però, tutto ruota attorno alle sette note. «Il messaggio che mi preme far passare non è razionale, cioè indirizzato in una direzione precisa. Il mio modo di suonare è la genuina espressione di quello che io sono e sento nel momento in cui scrivo e, in parte, nel momento in cui incido. E’ triste pensare che scrivere e fare musica debba necessariamente assecondare l'ascoltatore o chissà chi altro. Per quel che riguarda i generi musicali, apprezzo, studio ed approfondisco tutti gli stili, tendendo poi ad inserirli nei miei lavori. La mia musica, peraltro, è molto strutturata: in sala di registrazione non dedico eccessivo spazio all’improvvisazione. Dal vivo, invece, è diverso: adoro improvvisare. E' per questo motivo che mi stimola molto il jazz: ma difficilmente produrrò un disco di jazz vero e proprio. A mio nome, almeno. Anche se, nella vita, non si sa mai».

Marcello Zappatore
La Ciliegina sulla Porta
(autoprodotto, maggio 2009)

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)

martedì 4 agosto 2009

Quel vinile dimenticato

«Io musicista militante? Ebbene sì, l’ammetto. E’ l’etichetta che mi sono creato, un po’ di tempo fa. Il tempo dei movimenti studenteschi, sulla scia del ’68. Il tempo della lotta di classe, negli anni settanta. Quando avevo qualche capello in più. Anzi, più che un’etichetta, quella del musicista militante è stato un modo di essere. E di sentire la musica: nel mio caso il jazz. Ma tutto vissuto in assoluta normalità: logico, per chi, come me, fa parte di quella generazione. Sì, il movimento studentesco mi ha iniettato determinate emozioni: che poi ho trascinato nella composizione della mia musica, della nostra musica». La musica di quel gruppo che, trentacinque anni fa, scrisse I Signori della Guerra.
Gaetano Liguori porta un cognome napoletanissimo, ma è milanese. Molto milanese: l’accento non tradisce. E il suo jazz ha cavalcato più di tre decenni. Ma per raccontare questa storia è necessario riavvlgere il nastro del tempo. E tornare al 1974. L’anno, appunto, de I Signori della Guerra, un vinile che, come tanti altri lavori di quell’epoca, non è stato rimasterizzzato. E, quindi riproposto, al pubblico dei cd e di internet: dove la musica non si compra, ma si scarica. Un vinile, ormai, quasi sconosciuto. E praticamente dimenticato. O quasi. Un album che, a suo modo, offre uno spaccato di quel momento storico. Che è la testimonianza di un periodo politicamente caldo, socialmente convulso. Che è stato il prodotto di un nuovo filone musicale. Musica di rottura, si disse anche. Rottura con il passato. In una stagione in cui il jazz, almeno in Italia, era terra di manovra per pochi.
Ecco, Liguori e il suo gruppo, il Liguori Idea Trio, in quei mesi che collegano l’austerity agli anni di piombo compongono quel vinile dal titolo straordinariamente ancora attuale. Dalle sonorità fresche, dai ritmi serrati. Poi, trentacinque anni dopo, o poco meno, il direttore artistico di Ceglie Open Jazz Festival, Pierpaolo Faggiano, sfogliando le pagine virtuali di un blog, scopre (o riscopre) questo vinile. «Per la verità – ammette Faggiano – con Liguori eravamo già in contatto e stavamo pensando ad una collaborazione tra lui e la nostra rassegna, che ques’anno festeggia il suo sesto anno di vita. Perciò, ho immediatamente raccolto l’imput arrivatomi dal web: perché, mi sono chiesto, non riproporre quel lavoro e la fragranza di quel periodo in una serata? Del resto, il Ceglie Open Jazz Festival, sin dall’inizio, ha voluto rappresentare un contenitore di musica scelta in un ambito specifico, innervato da un progetto. Un progetto che non si limita a replicare cose già ascoltate o ascoltabili altrove. Credo, infatti, che un appuntamento come il nostro non debba limitarsi ad ospitare dei concerti, ma possedere soprattutto una propria identità. Non solo: quel disco, I Signori della Guerra, è stato uno dei simboli di un’intera generazione e di un grande fermento culturale. Liguori, allora, ha raccolto l’idea e mi ha assecondato, riconvocando il bassista Roberto Del Piano e il batterista Filippo Monico, cioè i compagni di quel viaggio musicale, con i quali non si esibiva assieme da una ventina d’anni. E di questo lo ringrazio: perché ci ha consegnato l’opportunità di offrire alla manifestazione anche un’impronta – diciamo così - sociale».
La prima delle tre serate del Ceglie Open Jazz Festival si macera nel ricordo. Forse anche nell’autocelebrazione. Ma l’idea è valida. «A distanza di tempo, in qualche composizione di questo disco – continua Gaetano Liguori – ho ritrovato una certa carica interiore, quella di quei tempi. Ed è stato bello, sotto il profilo squisitamente umano, misurarmi nuovamente con i musicisti che mi accompagnarono in quel progetto. Musicisti che, peraltro, ho ritrovato anche più tardi, nel corso del mio tragitto artistico, durante il quale ho lavorato anche per il teatro, al fianco di Dario Fo, per esempio. Va detto, peraltro, che questo progetto ci offrì l’occasione di poterci esibire davanti ad una cornice di pubblico corposa, anche all’interno dei palazzetti dello sport. Non un dettaglio da poco, per i jazzisti degli anni settanta».
I Signori della Guerra: anche un modo per ricordare Mario Schiano, a cui è dedicata una traccia del vinile e, contemporaneamente, l’intero festival cegliese. «Schiano, per noi milanesi, era il punto di riferimento romano. Musicista fedele alla propria linea, un esempio. Il disco, però, nacque sull’onda emozionale di un film girato da Rosi, poco tempo prima. Una pellicola che, ovviamente, parlava della guerra e di quanti ne muovono i fili». Tra una traccia e ‘altra, però, spunta anche la produzione meno datata di Liguori, come “Il Comandante” e “Agnese”. «Al di là delle epoche e dei riferimenti temporali, però, è bello accorgersi che il mondo della musica, ancora oggi, è sensibile alle tematiche sociali», scandisce il pianista milanese. Vero. E il fatto non guasta. Anzi, un po’ ci consola.

Gaetano Liguori Idea Trio (Gaetano Liguori: pianoforte; Roberto Del Piano: basso elettrico; Filippo Monico: batteria)
Ceglie Messapica (BR), piazza Plebiscito
Ceglie Open Jazz Festival 2009

(pubblicato dal sito www.levignepiene.com)