sabato 30 luglio 2011

Le canzoni immortali di Different Moods


«Different Moods è un contributo tutto nostro alla canzone italiana degli anni cinquanta, sessanta e dei primi anni del decennio successivo. Quella che, a distanza di quarant’anni e anche di più, continua a brillare di luce propria. E che viene eseguita e ricordata. Non solo dagli interpetri dei giorni nostri, ma anche e soprattutto dalla gente comune». Non è solo uno slogan, magari pure pubblicitario: perché, del resto, i dischi vengono incisi per essere distribuiti. E, quindi, per guadagnarsi uno spazio nella considerazione di chi ama la musica o, più in generale, degli appassionati (e nient’altro, vi assicuriamo: il mercato discografico, oggi, premia soltanto i big. Mentre i meno noti assistono, galleggiando nell’ ordinaria quotidianità). No, Beppe Delre è uno che ci crede davvero. E, peraltro, la canzone è il suo mondo, la sua ambizione, la sua passione, il proprio destino. Che non passerà, ovviamente, attraverso un disco – Different Moods, appunto – articolato al fianco di Vince Abbracciante, Camillo Pace e Fabio Accardi, ma che però si nutre anche di lavori come questo album. Album che, alla fine, racconta un po’ del suo percorso musicale.
L’idea di raccogliere le tracce di Different Moods - The Italian Songbook n. 1 (evidentemente, arriverà almeno un'altra pubblicazione, in un prossimo futuro) nasce un po’ alla volta. Prima, l’incontro (ormai antico) con Vince Abracciante si consolida in diverse situazioni live. Voce e fisarmonica, così. Inseguendo i testi di alcune firme di pregio come Modugno, Tenco, Endrigo o dal repertorio di Mina o di Don Backy. Poi, in sala d’incisione si aggiunge il contrabbasso di Pace e la batteria di Accardi. «Senza la nostra storia non siamo niente» certifica il crooner di Mola. «Ma questo lavoro non è solo una collezione di cover. Abbiamo inserito, per esempio, anche un testo scritto da me su uno spartito esclusivamente strumentale del francese Richard Galliano, forse il punto di riferimento più importante della carriera artistica di Vince Abbracciante. Il pezzo si chiama “Viaggio”. Ma non potevamo non soffermarci su determinati brani che amo particolarmente, come “Canzone per Te” di Sergio Endrigo o “Guarda Che Luna” di Buscaglione: un brano, questo, che dal punto di vista letterario, è il mio preferito. Non abbiamo, comunque, voluto obbligarci a reinterpetrare solo testi scontati, cioè conosciutissimi al grande pubblico. Dal bagaglio personale di Mina, infatti, abbiamo estratto “L’Ultima Occasione” e “Noi Due”, che non rientrano nel gruppo delle canzoni più famose lanciate dall’artista cremonese. Anzi, diciamo pure che sono state a lungo snobbate dalla critica e dagli stessi interpreti».
Una scelta, diciamo così, coraggiosa è pure “Fino all’Ultimo Momento” del livornese Piero Ciampi, un poeta scomodo che non ha mai guadagnato molte colonne sui giornali e una visibilità diffusa. La cover più recente, in ordine di tempo, è invece “Ritornando a Casa”, di Fabio Concato. Ovviamente, un buon lavoro di riarrangiamento offre al cd, uscito proprio in questi giorni con l’etichetta Bumps e presentato ufficialmente ad Ostuni, nel Chiostro di Palazzo Comunale, una dignità propria e un’identità che non insegue cocciutamente le versioni originali. Com’è giusto che sia: soprattutto in quest’universo di cover band che è diventata la musica dal vivo di questo millennio.

Different Moods (Bumps Record, luglio 2011)
Beppe Delre (voce), Vince Abbracciante (fisarmonica e fender rhodes), Camillo Pace (contrabbasso) & Fabio Accardi (batteria)

lunedì 25 luglio 2011

Il Mediterraneo di Echoes


Capire il progetto Echoes è un’operazione che passa anche spigolando attraverso le inclinazioni e le esperienze personali di ciascun protagonista della formazione. Adolfo La Volpe, ad esempio: il chitarrista, uno dei più eclettici della sua generazione, è da sempre profondamente legato al filone colto della musica etnica e, più in generale, a certe tonalità più speziate che si affacciano in un universo senza confini. Un universo che attinge in ogni contrada e in ogni porto, ad oriente ed occidente. Oppure Vittorio Gallo, di estrazione più jazzistica, temprato da collaborazioni suggestive, che ama spesso misurarsi con partiture free o al di fuori di certi schemi prestabiliti, dedicandosi a commistioni anche ardite, comunque gravide di una variegata gamma di soluzioni artistiche. Servendosi, perchè no, di strumenti a fiato assemblati in maniera assolutamente artigianale e singolari. Oltre a quelli più tradizionali: da suonare, magari, due per volta, allo stesso momento. Oppure, ancora, Vito Laforgia, un contrabbassista che arriva da repertori decisamente jazzistici, ma anche da un ambito musicale più classico e che ora si ritrova a ricucire le diverse anime del gruppo. E, infine, il percussiosta Francesco De Palma, segnato da un percorso che pianta le radici in un humus dichiaratamente più popolare, come può facilmente testimoniare un curriculum che tiene conto della militanza nei Radicanto, giusto per fare nomi.
Ma, per capire il progetto Echoes, è pure necessario soffermarsi sulla composizione di un gruppo pronto ad allargarsi con la complicità di un paio di ospiti: perchè l’esibizione, talvolta, è una combinazione di note e disponibilità. Altrui (location, budget) e proprie (una data che si sovrappone oppure no ad altre, di differenti gruppi: perchè ognuno coltiva altre situazioni e si adatta in residenze diverse). E, così, se ad Alberobello (la settimana prima) il quartetto si presenta più asciutto e anche meno legato dai vincoli delle sinergie, a Noci – all’interno del Chiostro di San Domenico – si aggiungono il sassofonista (e, da un anno, anche flautista) Fabrizio Scarafile e il pianista Francesco Fornarelli (nota di servizio: da non confondere con Kekko). L’Echoes Special Six, con un solo pomeriggio di prove, si concede così qualche sonorità più marcata e più jazzistica, mettendo da parte, probabilmente, qualche atmosfera consegnata al pubblico nell’occasione precedente. Il prodotto, tuttavia, continua a nutrirsi ugualmente di una forte vivacità interpretativa, partendo dalla base di una composizione solida, strutturata, spessa. Sfumature (visto che ci siamo, approfondiamo: più delicate e intense con il quartetto), intrecci sonori e proposte coraggiose convivono in bilico tra stili vicini e lontani, guardando con interesse all’intero vaso comunicante del Mediterraneo, che ospita culture e patrimoni artistici popolari e sofisticati assieme.
Alla produzione originale (un paio di brani, "Sincopatia" e "Il Passo del Geco", sono composizioni di Vito Laforgia) si affiancano testimonianze della tradizione sufi o di quella yiddish, ma anche riproposizioni di spartiti firmati da Abdullah Ibrahim, John Zorn o persino da Arcangelo Corelli ("Sarabanda", pezzo del settecento, è appositamente rivisitato per i giorni nostri). Il differente cammino dei due sassofoni, poi, non intralcia nè Gallo, nè Scarafile (in Italia per un po’, prima di rientrare a Madrid e di proseguire il tour sudamericano al fianco di Jorge Drexler Prada, uno dei cognomi importanti della musica uruguayana), nè il progetto comune, che si alimenta di umori e ricerca, di improvvisazioni e rigore. Come nella migliore tradizione della musica di nicchia che arricchisce da un po’ di anni questa terra di Puglia.

Echoes Special Six (Adolfo La Volpe: chitarra e oud; Vito Laforgia: contrabbasso; Francesco De Palma: percussioni; Vittorio Gallo: sax tenore e sax soprano; Fabrizio Scarafile: sax tenore e flauto; Francesco Fornarelli: piano)
Noci (BA), Chiostro della Chiesa di San Domenico

giovedì 7 luglio 2011

Marco Bardoscia, il sognatore


Il sognatore non pianta paletti. E non possiede patria certa. Gira per il proprio regno immaginario e gode. Di se stesso, del suo idealismo e dei suoi sogni, appunto. Creandosi, a propria misura, un recinto un po’ vintage, démodé. E piazzando ai confini del suo mondo una barriera e una dogana: così, se qualcuno vorrà entrare, dovrà chiedere permesso. Esibendo visto e carta d’identità. E un altro bagaglio di sogni, da aggiungere a quelli che già circolano nella repubblica di nuvole. Sogni, oppure illusioni: fate voi. Perchè nessun’epoca e nessun personaggio hanno mai separato i due concetti: che, da sempre si accavallano, sorpassandosi e combinandosi.
Il sognatore, quasi sempre, è un artista. Del suono, dell’immagine o della parola. Forse, perchè l’interventista non conosce il tempo di riflettere. O quello di piegarsi ad una logica lontana dalla produzione di beni tangibili. Finendo per ignorare (e, di questi tempi ce ne rendiamo particolarmente conto, per ostacolare) l’arte, quindi la cultura. Ogni musicista, poi, è un sognatore, a suo modo. Perchè non sa (o non ha capito) che il mondo si arruffiana con i vincitori: che, quasi sempre, non sognano. Distruggendo, anzi, i sogni altrui. Ma, invece di redimersi, spesso il musicista insiste. Sprezzante, autolesionista. Maledetto. Almeno sino a quando non scala le vette della passione popolare: entrando a pieno diritto nel cuore dell’ingranaggio, nel vortice del sistema che lo plagia e lo annienta. Ma sono cose, queste, che accadono talvolta. E solo a pochi.
Anche Marco Bardoscia, come molti artisti della nota, è un sognatore. Anche di più: e non solo per quel ciuffo ribelle che lo allontana dalla necessità di apparire allineato e coperto. O per quell’aria vagamente strafottente che si trascina da sempre e che, peraltro, prova ad occultare la sua natura di ragazzo sincero e per bene, ma libero da orpelli mentali e genuinamente calato nella propria realtà. Perchè, per chi non lo conosce, Marco Bardoscia da Copertino è davvero così: e non ci fa. Lui, sì, è un sognatore verace. Nella quotidianità, ancora prima che nella musica. E ci tiene a ribadirlo: con la sua seconda raccolta di brani, appena licenziati dall’etichetta My Favorite. The Dreamer (Il Sognatore, appunto) segue di qualche anno la sua opera prima, Opening, e contiene dieci tracce, nove delle quali rigorosamente originali (“Ninna Nanna per la Piccola Sara", “Rêve au Petit Sablon", “Hallelujah per il Mondo", “31.12.2009", “Chica y Nano", “Jet", “Preludio al Sorgere del Sole", “Il Sorgere del Sole" e “Impro") e una rivisitazione di uno spartito firmato da Ned Washington e Victor Young, “Stella by Starlight").
Il contrabbassista salentino, al di là dei sogni e dei loro effetti sulla vita di ogni giorno, conferma ancora una volta la sua caratura creativa, maturata dalla ormai lunga militanza in diverse formazioni jazzistiche di impronta moderna, dalle frequentazioni importanti (uno per tutti, Paolo Fresu) e dalla doppia residenza (si divide tra il Salento e Bruxelles), lasciandosi accompagnare dagli amici di sempre (da Raffaele Casarano a Fabio Accardi, da Alberto Parmegiani a William Negro, da Giorgio Distante a Carla Casarano, da Gianluca Ria a Luca Aquino) e da Fernando Bardoscia, vocalist di famiglia. Il disco, che il Locomotive Festival di Sogliano Cavour avrà il piacere di presentare ufficialmente ad inizio di agosto, coniuga ascoltabilità ed effetti mixati al computer, semplicità e mancanza di riguardo per la rigidità degli schemi. Anche gli assoli non grondano di virtuosismo, puntando piuttosto ad un’efficacia di fondo, cioè alla fruibilità. Un lavoro, in definitiva, di istinti freschi e idee duttili. Che non vuole arrampicarsi su chissà cosa. Da ascoltare, senza affannarsi. Il prodotto di un sognatore che vuole continuare a crescere.

The Dreamer (My Favourite, giugno 2011)
Marco Bardoscia (contrabbasso ed effetti), Raffaele Casarano (sax alto, sax soprano ed effetti), Luca Aquino (tromba ed effetti), Giorgio Distante (tromba e computer), Gianluca Ria (trombone), William Negro (pianoforte), Alberto Parmegiani (chitarra), Fabio Accardi (batteria), Carla Casarano (voce), Fernando Bardoscia (voce)

sabato 2 luglio 2011

Il calcio di Servillo, Girotto e Mangalavite


Il pallone come metafora di quotidianità, di vita vissuta, orologio del tempo di tutti, testimone di un epoca comune, sinonimo di ostinazione, fantasia, debolezza, fatica, coraggio e sogno; dramma e commedia, eccitazione collettiva e solitudine individuale. Il pallone che infiamma la platea e i suoi teatranti, azzerando le rotte degli oceani. Il pallone di un Sudamerica epico e di un’Italia che lo rincorre. Il fútbol di Maradona: quello dell’Argentina di Natalio Luís Mangalavite e di Javier Girotto e quello della Napoli di Peppe Servillo, casertano con le radici divise a metà. Ma anche quello dell’Uruguay di Obdulio Varela, il generale di quella squadra che scippò il Mundial al Brasile di Ademir e di Zizinho, che poi diventò il Brasile di Barbosa, colpevole massimo del disastro del Maracanã. Il calcio e le sue magie. Quello di una volta. Quello delle maglie dall’uno all’undici. Delle divise senza sponsor. Ancora incontaminato dalle pay per view e dalla corsa sfrenata verso il consumismo, verso la modernità cieca. Il calcio che detta la sua musica.
Tre artisti, tre sensibilità. Tutti assieme, per avventurarsi nella festa e nell’emozione di una manciata di spicchi di cuoio cuciti, con un cuore di ossigeno puro. Servillo, Mangalavite e Girotto girano da un po': e il loro progetto (Fútbol, appunto) mistura pagine di letteratura contemporanea (quella di Osvaldo Soriano, per esempio, ma pure quella di Juan Cáceres), note, abilità scenica e improvvisazioni. Diventando il pretesto per allargare l’orizzonte alla piccole storie di ogni giorno, alla storie di chiunque. Non solo intrecci calcistici, dunque. Ma, sempre e comunque, fotografie di passione, armate di temperamento. L’ora di spettacolo, inserito nel cartellone della Notte Bianca 2011, la quinta edizione all’ombra del barocco di Lecce, si concede così la possibilità di presentare, per esempio, anche una versione in italiano della celebratissima “Insensatez“, una rivisitazione di un ipotetico incontro tra Liz Taylor e Richard Burton dietro le quinte e una miscela insondabile e sottile di jazz e canzone d’autore. Ritornando, infine, alla base. Al pallone. Persino al pallone dei giorni nostri, che pure – talvolta – riesce a ricavarsi degli spunti di tenera teatralità, di sincera innocenza. Come lo sfogo di Trapattoni nella conferenza stampa mitizzata dai media, ai tempi del Bayern. Punto di partenza che Servillo utilizza per disegnare il ritratto privato di un uomo qualunque, compresso dalle sue problematiche, dai propri conflitti privati. Perchè il calcio, quando non è arte, è vita.
Di sponda, certo, gioca anche il clima. Se quasi ovunque diluvia, in Salento si può circolare liberamente. Qualche nuvola incombe, ma non assale. E la brezza, a metà percorso, sostuisce l’umidità della sera. La programmazione si esaurisce al momento previsto, non prima, abbondantemente dopo le quattro: in tempo per assaporare l’alba che avanza. Chiude il sempre più istrionico (e politicamente incazzato: ce n’è per tutti) Cesare Dell’Anna con i suoi Opa Cupa, vestiti di sonorità molto meno balcaniche di un tempo, ma ugualmente immediate (la farfisa di Mauro Tre, del resto, conferisce alle sonorità della band venature differenti). E, in precedenza, per gli angoli del centro storico di Lecce si dividono i palchi jazzisti, rockettari, tangueros e pizzicati, mentre l’atrio di Palazzo dei Celestini ospita coro e orchestra. L’ultimo pensiero, poi, è per la Bandadriatica di Claudio Prima e per la canzone popolare di protesta dei Kalascima, in piazza Sant’Oronzo. Popolatissima sino alla fine delle musiche e della danze, ma anche oltre. Perchè è questa la forza intrinseca di una Notte Bianca organizzata con cura e con buon gusto artistico. Per la quinta estate di seguito, malgrado il momento di forte depressione delle politiche culturali, come puntualizza lo stesso Servillo, a fine esibizione. Vero. E proprio nel momento in cui altre realtà italiane, assolutamente di rilievo, hanno fermato la macchina organizzativa della propria Notte Bianca. Ricordiamocene. Glissando, ma non troppo, sulla sentenza del tifoso Servillo: «Maradona è meglio ’e Pelé». Falso. Non glielo consentiamo.

Peppe Servillo (voce), Natalio Luís Mangalavite (pianoforte e voce) & Javier Girotto(sax soprano, sax tenore e flauto) in “Fútbol“
Lecce, via Umberto I
Notte Bianca 2011